Il ministro Orlando, garantista ma non per i profughi
Che bisognerebbe «superare» il reato di immigrazione clandestina perché «non serve» il ministro della giustizia Orlando lo aveva già detto. Più di una volta, a cominciare dalla relazione al parlamento sull’amministrazione della giustizia con la quale aveva aperto l’anno giudiziario, nel 2016. Trascorsi dodici mesi ieri lo ha ripetuto, promettendo in qualche modo una rivincita sul ministro Alfano che l’anno scorso sull’immigrazione lo ha bloccato – così come ha costretto al rinvio l’approvazione della riforma del processo penale. Stavolta, però, nel discorso ai senatori prima e ai deputati poi, Orlando ha allargato il quadro, annunciando il disegno di legge che cambierà le procedure per il diritto d’asilo. Sarà un giro di vite: quattro mesi dalla richiesta per definire l’iter e abolizione dell’appello: dopo il primo grado di giudizio l’immigrato che si vede negato l’asilo dovrà essere espulso. Non solo: il richiedente asilo non potrà più comparire davanti al giudice per spiegare le sue ragioni e per decidere basterà visionare il filmato del suo colloquio con la commissione territoriale. «La nuova normativa potrà essere l’occasione per superare il reato di immigrazione clandestina», ha così promesso Orlando.
Un annuncio assai stonato rispetto al resto della relazione, nella quale il ministro ha difeso «l’impianto costituzionale» del sistema giuridico italiano, «tra i più avanzati» perché riduce il rischio di errori giudiziari ai quali «non ci si deve rassegnare». «Difendo i due gradi di giudizio presenti nel nostro ordinamento», ha detto il guardasigilli, evidentemente escludendo dalla difesa i profughi. «Soltanto una nostra certa esterofilia – ha aggiunto – fa si che si prendano come riferimento modelli che dal punto di vista delle garanzie non ci devono insegnare niente». Ma per la stretta sulle richieste di asilo ha spiegato di volere «fare tesoro delle esperienze europee più efficaci».
Una contraddizione notevole, anche perché accostata a un apprezzabile critica al «garantismo sui generis che spesso c’è nel nostro paese». In questo caso Orlando si riferiva ai detenuti in attesa di giudizio per i reati di strada. Che non possono essere assegnati alla custodia cautelare fuori dal carcere perché non hanno un domicilio. «In gran parte si tratta di persone extracomunitarie e questo determina una disparità oggettiva», ha giustamente detto il ministro. È questo il punto debole delle nuove norme che hanno ampliato il ricorso all’esecuzione penale esterna al carcere. «Ma non se ne parla», ha notato Orlando, proprio perché non è di colletti bianchi che continuano a riempirsi le celle.
La cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario è stata cambiata nel 2005 dal governo Berlusconi, con l’obiettivo di depotenziarne l’impatto politico: erano gli anni in cui i magistrati coglievano l’occasione per mettere in scena le loro proteste contro le leggi del centrodestra. Adesso il dibattito politico si fa in parlamento – è successo, un po’, ieri – e la cerimonia in Cassazione (quest’anno il 28 gennaio) ha perso appeal. Se non, adesso, per l’annunciata diserzione dell’Associazione nazionale magistrati (che peraltro in genere presenzia senza intervenire) in polemica proprio con il governo e Orlando. Il ministro nella sua relazione ieri ha evitate completamente l’argomento, lo ha citato solo nella replica perché costretto dai parlamentari. Ha riconosciuto il problema della scopertura degli organici. Ha detto però che sarà risolto aumentando il numero dei concorsi per i nuovi magistrati. Ha ammesso però che «ci sono stati degli scompensi». E poi ha annunciato, en passant, che alla richiesta dei giovani magistrati di abbreviare il termine minimo per chiedere il trasferimento (adesso quattro anni) è stata data risposta parzialmente positiva con un emendamento del governo al decreto mille proroghe (ancora da vedere). Però sulla proroga dell’età pensionabile riconosciuta solo a un pugno di alti magistrati (presidenti di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei conti) il guardasigilli non ha fatto autocritica. Tutt’al più ha cercato di ridimensionare la misura, introdotta dal governo Renzi per decreto, che invece l’Anm giudica «incostituzionale». «Io credo – ha detto Orlando – che ci sia una sproporzione tra le reazioni che sono avvenute e l’oggetto del contendere, la questione del pensionamento». Anche perché, ha concluso rivolgendosi ai magistrati che da lui e da Renzi avevano avuto promesse diverse, «nel frattempo il governo e il presidente del Consiglio sono cambiati».
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