by Simone Pieranni, il manifesto | 18 Gennaio 2017 9:54
Sono distanti i tempi nei quali Pechino esercitava un ruolo secondario sullo scenario internazionale. Una postura che venne scelta da Deng Xiaoping, che decise di concentrarsi specialmente sulle questioni interne; un atteggiamento che poi è stato mantenuto da tutti i leader cinesi – da Jiang Zemin a Hu Jintao – fino a Xi Jinping. Per la Cina, oggi, inizia una nuova fase, quella durante la quale la propria “nuova normalità” può diventare un punto di riferimento per tutto il mondo
«Erano i tempi migliori, erano i tempi peggiori»: la prima citazione utilizzata dal presidente cinese Xi Jinping nel suo discorso d’apertura al forum economico di Davos, ha reso onore a Charles Dickens e ha sottolineato così la forza di volontà del percorso di crescita cinese, così come quello occidentale post rivoluzione industriale; non a caso da lì a poco Xi avrebbe ricordato le fatiche del popolo cinese e i successi ottenuti, anche grazie alla globalizzazione «e alla guida del partito comunista».
Xi Jinping ha sfoggiato un discorso che secondo gli osservatori internazionali poteva essere letto perfino da Obama; si è trattato dello speech «dell’unico adulto responsabile che sembra essere rimasto in sala» (come ha scritto nei giorni scorsi il Financial Times), a sottolineare il senso di responsabilità nei confronti della comunità internazionale che pare essere stato smarrito da molti dei suoi protagonisti.
XI JINPING HA DIFESO I PROCESSI della globalizzazione, insieme alla volontà di affermare un nuovo corso, pacifico e senza crisi finanziarie, nel mondo. L’idea del leader cinese in versione «liberal» sembra essere quella di un mondo pacificato e quindi in grado di crescere: «Nessuno uscirebbe vincitore da una guerra commerciale», ha specificato. Le incognite certo non sono poche: il lavoro e i processi di automazione, l’innovazione, l’equilibrio nella distribuzione della ricchezza ancora oggi deficitaria nei confronti degli sconfitti della globalizzazione. L’importante, ha specificato Xi, è che «nessun paese veda il proprio modello di sviluppo come l’unico». C’è da chiedersi dunque come la Cina interpreta il mondo in questa fase. Il discorso inaugurale al meeting di Davos da parte del presidente cinese Xi Jinping, per la prima volta nella storia, è un evento che segna i nostri tempi e il futuro del mondo globalizzato.
L’OCCASIONE È STATA RILEVANTE tanto per la Cina quanto per l’Occidente, perché le parole di Xi in favore della globalizzazione, sono avvenute proprio alcuni giorni prima dell’insediamento alla Casa bianca di Donald Trump e contemporanee a quelle di Theresa May sul futuro della Brexit e dell’Unione europea. Per la Cina si tratta della chiusura di un ciclo e dell’inizio di una nuova epoca. Sono distanti i tempi nei quali Pechino esercitava un ruolo secondario sullo scenario internazionale. Una postura che venne scelta da Deng Xiaoping, che decise di concentrarsi specialmente sulle questioni interne; un atteggiamento che poi è stato mantenuto da tutti i leader cinesi fino a Xi Jinping. Per la Cina, oggi, inizia una nuova fase, quella durante la quale la propria «nuova normalità» può diventare un punto di riferimento per tutto il mondo.
BISOGNA POI AMMETTERE un importante successo per il soft power made in China. Limitandosi agli ultimi 30 anni circa, da paese al centro di attenzione internazionale per gli eventi del 1989, che portarono a un feroce embargo economico e all’isolamento internazionale, la Cina è diventata poi la «fabbrica del mondo», aprendo agli investimenti stranieri ed elevando al di sopra del livello di povertà milioni di persone, per diventare infine il motore degli investimenti mondiali, attraverso l’acquisto di pezzi di Occidente. Il nuovo progetto di via della Seta, «One Belt One Road» è esemplificativo del modello di sviluppo che la Cina di Xi ha in mente.
ESISTONO DISEGUAGLIANZE, ma solo mercati aperti e possibilità per i paesi in via di sviluppo di dire la propria potranno bloccare eventuali emorragie. È questo il messaggio principale portato da Xi Jinping nel «covo» del neo liberismo mondiale di Davos. Naturalmente una eventuale global governance a guida cinese si distinguerà dal passato: per l’attenzione alle economie emergenti, per la libertà commerciale e per il rispetto delle diversità regionali e territoriali. Su questo c’è da credere che Pechino non muterà la sua bussola internazionale, basata sulla politica del non intervento negli affari interni dei paesi.
TANTO PER INTENDERCI, Pechino non ha alcuna volontà di esportare il proprio modello politico o di chiedere cambiamenti politici, o di supportarli attraverso «rivoluzioni colorate», nei paesi con i quali commercia o nei quali investe. Il mondo globalizzato a guida cinese, dunque, si permea delle linee guide interne; non a caso ieri Xi Jinping ha reso merito al partito comunista cinese, motore del miracolo economico. «È vero – ha detto Xi – che la globalizzazione ha creato nuovi problemi, ma questa non è una giustificazione per cancellarla, quanto piuttosto per adattarla: piaccia o no, l’economia globale è l’enorme oceano dal quale nessuno può tirarsi fuori completamente». Il protezionismo, ha detto Xi, con un chiaro riferimento al nuovo corso americano, è «come chiudersi dentro una stanza buia. Vento e pioggia possono pure restare fuori, ma resteranno fuori anche la luce e l’aria». Xi ha ricordato infine l’ascesa pacifica della Cina quando ha sottolineato l’esistenza di «guerre, turbolenze e conflitti regionali» da risolversi promuovendo «la pace, la riconciliazione e restaurare la stabilità».
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