Dieselgate: è il turno della Renault francese
Anche Renault finisce sotto inchiesta, dopo il caso clamoroso di Volkswagen e, nei giorni scorsi, di Fca negli Usa. Succede in Francia, dove la Procura ha aperto un’inchiesta affidata a tre giudici sui motori diesel di Captur, Clio IV e Talisman, per un rischio sulla salute «di uomini e animali». Ci sono «sospetti» di «frode», ma non di «truffa», come nel caso di Volkswagen negli Usa, del resto la casa automobilistica tedesca ha ammesso la colpa, che ha coinvolto 11 milioni di veicoli. Le penalità che Volkswagen deve pagare sono salite a 22 miliardi di dollari.
In Francia, la repressione delle frodi indagava su Renault dal 2016, conseguenza dello scandalo Volkswagen scoppiato nel 2015. Allora, la ministra dell’ecologia, Ségolène Royal, aveva imposto dei test sulle emissioni di 86 veicoli venduti in Francia. Sono stati constatati scarti importanti rispetto alle dichiarazioni ufficiali per quanto riguarda l’ossido di azoto.
Ma non sembra trattarsi di una vera e propria truffa, nel senso che non ci sarebbero sui veicoli Renault dei software specifici per disattivare i meccanismi anti-inquinamento e minimizzare le emissioni inquinanti, come è stato provato negli Usa per la Volkswagen. Renault, dove lo stato francese ha ancora una partecipazione del 20%, si difende, come ha fatto Marchionne per Fca: «Renault rispetta la legge francese e europea», dice un comunicato, i nostri veicoli sono «conformi» alle leggi in vigore, ripete la casa francese, che si limita a «prendere atto» dell’apertura dell’inchiesta. La reazione è simile a quella di Marchionne, che ha insistito sul fatto di aver «discusso con il regolatore italiano». L’inchiesta sulla Renault è nata dal fatto che esiste uno scarto tra le misure sull’inquinamento realizzate da una struttura indipendente voluta da Royal e quelle dichiarate dal costruttore. Alla Renault spiegano che i test «maison» sono stati realizzati con una temperatura esterna tra i 17 e i 23 gradi, più favorevoli, ma che comunque i risultati restano all’interno dei termini di legge.
Dietro queste inchieste a ripetizione c’è anche una guerra tra costruttori europei, che erano stati sospettati di essersi messi d’accordo per truffare i controlli. La Germania, che si è fatta prendere con le mani nel sacco per Volkswagen, si vendica? Nel settembre scorso, la Germania ha messo in allerta la Commissione europea denunciando una truffa da parte di Fca, che avrebbe installato su alcuni modelli Fiat (500x, Renegade, Doblo) un meccanismo di disattivazione dei filtri delle emissioni inquinanti più lungo di quello previsto, che ha permesso di non farsi prendere durante i controlli. Anche la commissione Royal, in Francia, sarebbe giunta alle stesse conclusioni sui veicoli Fca analizzati. Per i francesi, la Fca è la peggiore nella lista del Dieselgate.
La Fca ora spera in Donald Trump: Marchionne, come il presidente eletto, ha nel mirino l’Epa, l’agenzia per l’ambiente Usa, che accusa Fca di aver dissimulato le emissioni di ossido di azoto in 104mila diesel venduti negli Usa. La Fca ha promesso la creazione di 2mila posti di lavoro negli Usa e il rimpatrio della produzione di un modello prodotto in Messico, nella speranza di conciliarsi Trump. Ma in Francia, Fca deve preoccuparsi: l’inchiesta aperta su Renault sarà seguita a ruota da indagini su Fiat-Chrysler e su Opel. A Parigi, l’inchiesta su Renault cade in un periodo di grande offensiva della sindaca, Anne Hidalgo, contro l’automobile in città. Progressivamente vengono chiusi o limitati grandi assi di scorrimento, con l’obiettivo di scoraggiare l’uso dell’auto ed sta per entrare in vigore una vignetta, che impedirà a termine alle auto più sporche di entrare a Parigi nei giorni di eccesso di inquinamento (al posto del sistema delle targhe alterne).
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