In Afghanistan i Talebani attaccano, mentre la Nato invia i bersaglieri

by Giuliano Battiston, il manifesto | 11 Gennaio 2017 9:37

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In attesa di capire le intenzioni del nuovo presidente degli Stati Uniti, in Afghanistan i Talebani picchiano duro, mentre la Nato spedisce i bersaglieri italiani a Farah, turbolenta provincia occidentale. Ieri è stata una giornata particolarmente drammatica. In poche ore si sono registrate diverse esplosioni letali.

La prima, al mattino a Lashkargah, capoluogo della provincia meridionale dell’Helmand, ha causato 7 morti tra uomini dell’intelligence locale. Nel pomeriggio, prima un attentatore suicida e poi un’auto imbottita di esplosivo hanno colpito un autobus che percorreva la strada Darulaman a Kabul, il rettilineo che conduce al vecchio palazzo presidenziale, ora in ricostruzione.

Secondo i Talebani quel bus, attaccato nei pressi del nuovo Parlamento, non lontano dall’università americana presa di mira lo scorso agosto, trasportava personale dei servizi segreti. Per il portavoce del Ministero degli Interni, Sediq Seddiqi, si trattava di semplici funzionari.

La tattica adottata – un primo attentatore suicida contro un obiettivo governativo e un secondo contro le forze di sicurezza accorse sul luogo dell’attentato – non è nuova. Ed è risultata letale: almeno 30 morti, tra i quali un membro dell’intelligence, 4 poliziotti, personale amministrativo del Parlamento. I feriti sono una settantina, alcuni in condizioni gravi.

Le ultime esplosioni della giornata sono avvenute in serata nel compound del governatore di Kandahar, uno dei luoghi più protetti e inaccessibili del Paese. Mentre scriviamo, non è ancora chiaro se si sia trattato di un attentato, ma tutto lascia intendere che sia così.

Al momento dell’esplosione era infatti in corso un incontro tra il governatore Humayoon Azizi e Jumat-al-Kaabi, ambasciatore degli Emirati arabi in Afghanistan, accompagnato da una delegazione. Entrambi feriti, sono stati portati all’ospedale provinciale. I morti sono almeno 7, incluse alcune guardie del corpo e diplomatici degli Emirati (qualcuno dice che tra le vittime ci sia anche il vice-governatore).

Illeso invece il generale Abdul Raziq, capo della polizia di Kandahar. Nelle settimane scorse proprio lui – tra gli uomini più influenti del sud del Paese, fiero oppositore dei Talebani – li aveva invitati ad abbandonare i santuari in Pakistan per trasferirsi in «una zona di sicurezza» creata dal governo, così da ridurre l’influenza che «governi e ambasciate straniere» hanno sul processo di pace.

Ma di pace, per ora, non si parla. Il presidente Barack Obama ha rinunciato già da tempo all’idea di uscire di scena lasciando in eredità colloqui di pace avviati. Quando ha capito che prima delle elezioni dello scorso novembre non avrebbe ottenuto risultati significativi, è tornato alla vecchia strategia: dividere i Talebani per indebolirli.

Sul piano militare, ha ampliato i margini di manovra dei soldati americani e si è affidato ancora di più ai raid aerei. Secondo i dati resi pubblici nei giorni scorsi dallo US Air Forces Central Command e analizzati dal Washington Post, nel 2016 sono state 1.137 le bombe sganciate sul territorio afghano, con un incremento del 40% rispetto agli anni precedenti. Più bombe e meno diplomazia, dunque.

E mentre al Dipartimento di Stato aspettano di capire che aria tirerà con il prossimo inquilino della Casa Bianca, i marines vengono rispediti nell’Helmand. Nel 2014, conclusa ufficialmente la missione di combattimento, erano stati ritirati. Ci torneranno nei prossimi mesi. Sulla carta, per assistere e consigliare le forze di sicurezza afghane. In pratica, per combattere.

Avviene lo stesso nella provincia di Farah dove sono stati appena inviati circa duecento soldati della missione a guida Nato. Sono bersaglieri.

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