Continua la repressione in Turchia, colpiti accademici e piccole aziende
ISTANBUL. Altro giro di vite in Turchia, la repressione non si ferma. Con tre nuovi decreti, giunti dopo l’estensione dello stato di emergenza, il governo turco ha disposto la destituzione di 8.390 dipendenti pubblici con l’obiettivo, secondo il governo ed i giornali ad esso favorevoli, di allontanare dalle istituzioni statali i simpatizzanti dell’imam Gülen.
Tra questi 1.699 dipendenti del Ministero della Giustizia, 2.687 ufficiali di polizia, 135 dipendenti del Direttorato per gli affari religiosi, 389 del Ministero delle Finanze, 763 delle forze armate, 631 accademici e 155 appartenenti al personale da svariate università.
Chiuse 83 associazioni, molte delle quali dedite ad attività culturali, ecologiche, sportive e linguistiche, come l’Istituto curdo di Istanbul, l’associazione culturale Munzur, l’accademia linguistica Ahmede Hani.
Tra gli accademici destituiti anche Nuriye Gulmen, arrestata 15 volte nei mesi scorsi perché chiedeva di riottenere il posto di lavoro alla università Selcuk di Konya. Proprio per questa sua ostinata resistenza, Gulmen è stata citata dalla Cnn come una delle otto donne più rappresentative del 2016.
I tre decreti non si limitano però a destituire persone sospettate di avere qualche tipo di legame con i gruppi che il governo di Ankara considera terroristici. Vengono infatti istituiti nuovi strumenti di indagine e repressione. Tra le novità previste la possibilità di privare della cittadinanza turca coloro che si trovano all’estero e non rispondono alla richiesta del governo di rientrare in patria.
Inoltre la polizia è stata autorizzata ad ottenere le identità di utenti internet per il perseguimento di crimini online, uno strumento che potenzia la capacità di perseguire questo tipo di reati, ma rischia anche di inasprire ulteriormente la censura e soprattutto il più preoccupante fenomeno dell’autocensura, vista la facilità con cui si può essere incriminati.
Nuovo giro di vite anche per i media che non rispetteranno i divieti di divulgare notizie emessi dall’autorità per le telecomunicazioni: potranno essere oscurati per 24 ore dopo la prima infrazione, e più a lungo o permanentemente in caso di infrazioni successive.
L’emissione di questi divieti è un fatto di routine in Turchia negli ultimi anni dopo eventi capaci di scuotere l’opinione pubblica, come nel caso di attentati o dei due soldati turchi catturati e arsi vivi dallo Stato Islamico nel nord della Siria, le cui immagini sono state censurate dal governo per impedire un successo mediatico del gruppo.
Agli amministratori assegnati dal governo ad aziende sequestrate nell’ambito della repressione contro la rete gulenista e non solo, viene assegnato il diritto di vendita delle proprietà.
Sono centinaia le attività economiche, in particolare di aziende medio-piccole, sequestrate dopo il tentato golpe del 15 luglio. Molte di queste erano state aiutate a crescere ed espandersi, spesso anche all’estero, proprio dall’allora sinergia tra governo e gulenisti. Molti imprenditori oggi lamentano di essere finiti nel tritacarne della repressione soltanto per via della rottura dell’alleanza tra Erdogan e Gülen.
La repressione nei confronti dell’organizzazione di Gülen, penetrata nello Stato anche grazie all’aiuto dei governi susseguitisi dagli anni ’80 fino a pochi anni fa, sta compromettendo gli spazi di agibilità della società civile e mettendo in seria discussione diritti individuali ed economici.
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