Cgil sotto attacco, i referendum e la Carta dei diritti fanno paura

Cgil sotto attacco, i referendum e la Carta dei diritti fanno paura

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Nell’attesa della decisione della Consulta – prevista per mercoledì – sull’ammissibilità dei tre referendum sul lavoro, continua ad alzarsi il fuoco di sbarramento contro la Cgil. Di fronte a un attacco “ad personam verso Susanna Camusso, ad opera del direttore de l’Unità, Sergio Staino, oggi sullo stesso quotidiano sarà pubblicata una lettera firmata da tutti i segretari generali delle dodici categorie della confederazione, dalla segreteria nazionale (con l’eccezione della segretaria generale), e dalla presidente del Direttivo nazionale, Morena Piccinini.

L’oggetto del contendere, va da sé, è la strategia messa in campo alla confederazione per cambiare la legislazione del lavoro, che negli ultimi vent’anni, non solo secondo la Cgil, ha inesorabilmente compresso i diritti.

A partire dal cosiddetto “pacchetto Treu”, che dalla seconda metà degli anni ’90 ha avviato la precarizzazione del lavoro. Peraltro la stessa Cgil ha sempre dichiarato che lo strumento referendario per abolire i voucher e ripristinare l’articolo 18 va inserito in un disegno più generale: “Abbiamo pensato i referendum non solo come fini a sé stessi nonostante siano pienamente compiuti e autonomi – osservava Camusso nei giorni scorsi in più di una intervista – ma come punto di forzatura per la Carta dei diritti universali del lavoro: una riscrittura dei diritti smantellati negli ultimi due decenni, che speriamo la politica vorrà intraprendere”.

Una speranza al momento vana: la proposta di legge di iniziativa popolare “Carta universale dei diritti del lavoro” è stata consegnata ormai da mesi al parlamento, corredata da più di un milione di firme. Ma sull’approfondito testo per il nuovo statuto dei lavoratori e delle lavoratrici, con diritti, tutele, garanzie, discipline attuative, riforma dei contratti e dei rapporti di lavoro, non sembra esserci la volontà politica di una discussione nel merito della proposta di legge.

Ben più facile, per la quasi totalità dell’arco parlamentare con la sola eccezione di Sinistra italiana, la polemica spicciola sui tre referendum. E questo nonostante l’evidenza dei fatti – in proposito i dati Inps sono illuminanti – che vedono i voucher, normati nel lontano 2003 (legge Biagi) con la finalità originaria di “attività lavorativa di natura meramente occasionale a carattere saltuario e di breve durata, svolta da soggetti a rischio di esclusione sociale”, che nel corso degli anni hanno avuto una espansione di utilizzo tale da trasformarli in una ulteriore tipologia contrattuale precaria, estesa a tutti i settori e a tutti i soggetti, in sostituzione di altre adeguate tipologie contrattuali applicabili.

Il risultato è fotografato dai 150 milioni di ore lavorative l’anno “trattate” con i voucher. Un dato che ha portato Camusso a ribadire: “L’istituto, cosi com’è, non può andare bene per regolare tutti i tipi di lavori: per quanto ne restringi il campo con tetti di reddito a 5mila euro mi sembra ancora molto alto, e stiamo parlando di uno strumento che era nato per regolare precise e molto limitate attività accessorie. Il lavoro nero poi non è per niente diminuito in questi anni. lo testimoniano i dati di Inps e Banca d’Italia. Piccoli interventi di maquillage non bastano, a nostro parere si devono abolire e cambiare profondamente strumento, cosa come proponiamo nel quesito referendario. Altrimenti si mette solo una pezza”.

Il problema è che riconoscere l’errore, abolire i voucher, e avviare una discussione che pure riconosca la necessità per pochi soggetti di un lavoro subordinato occasionale, porterebbe nell’agenda politica parlamentare la proposta di legge della Carta universale dei diritti del lavoro.

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