by Carlo Lania, il manifesto | 6 Gennaio 2017 9:41
Di pattuglie in cerca di migranti irregolari per fortuna non si parla più, così come in soffitta è finita anche l’idea di utilizzare le caserme in disuso per trattenere chi viene sorpreso senza permesso di soggiorno. Al loro posto si parla di piccoli Cie, uno per Regione, e della necessità di siglare con i paesi terzi accordi che consentano di rimpatriare chi non ha diritto all’asilo.
E’ durata meno di una settimana l’offensiva del Viminale contro i migranti irregolari. E’ stato lo stesso ministro degli Interni Marco Minniti ieri a ridimensionare notevolmente quanto annunciare dalla stampa a fine anno, riportando tutta la materia su binari decisamente più equilibrati. Un cambio di direzione dovuto molto probabilmente alla valanga di critiche con cui l’idea di voler resuscitare strutture fallimentari come i Cie, ma anche di «retate» ed espulsioni in massa – mai smentita dal Viminale – è stata accolta da governatori, sindaci, associazioni che si occupano di immigrazione e la quasi totalità del mondo cattolico.
Nonché da buona parte del Pd, a partire dalla sinistra del partito. Da qui la decisione, probabilmente su spinta anche del premier Paolo Gentiloni (anche lui però in silenzio fino a ieri) di rivedere quanto annunciato troppo frettolosamente.
I CIE. Il nuovo corso del Viminale prevede un Centro di identificazione ed espulsione per ogni regione in grado di contenere al massimo 100 persone, proprio per evitare pericolosi assembramenti. «1.500, 1.600 posti in tutto per non sovraccaricare il territorio con strutture troppo grandi» ha spiegato Minniti, per il quale i nuovi centri non assomiglieranno a quelli del passato (sono quattro quelli ancora in funzione oggi: Roma-Ponte Galeria, Brindisi, Caltanissetta e Torino). Vale a dire prigioni teatro di rivolte in cui le condizioni di vita sono state frequentemente al limite del sopportabile. I nuovi Cie, promette invece il ministro, avranno «una struttura di governance trasparente e un potere esterno per quanto riguarda le condizioni di vita, perché bisogna mantenere sempre un livello molto alto di dignità della persona».
CHI VERRA’ INTERNATO NEI CIE. Secondo stime recenti in Italia sarebbero presenti 453 mila irregolari. Il Viminale pensa di utilizzare i Centri solo per quanti si macchiano di reati e siano considerati socialmente pericolosi. Non si capisce, però, perché l’identificazione di chi ha commesso un reato non avvenga direttamente in carcere, visto che è lì che dovrebbe stare, e si rimandi il tutto, come avvenuto per anni, a un momento successivo quando, una volta scontata la pena, il migrante viene internato in un Cie. Tanto più che, come rilevato dal rapporto sui Cie preparato dalla Commissione Diritti umani del Senato, la maggior parte di quanti transitano nelle strutture proviene da un carcere. Già da tre anni un decreto legge varato dal governo Letta, quando ministro della Giustizia era Annamaria Cancellieri (decreto poi convertito in legge nel febbraio del 2014) prevede la possibilità di sostituire – per i detenuti stranieri dei quali si conoscono le generalità – la detenzione con l’espulsione e per tutti gli altri di utilizzare il periodo trascorso in carcere per identificarli. Basterebbe dar seguito a queste semplici indicazioni per rendere ancora una volta inutili i Cie. All’interno dei quali, avverte però Minniti, sono destinati anche quanti si sono visti respingere la richiesta di asilo. Pare di capire dunque che, vecchi o nuovi che siano, i Cie continueranno a essere usati non per trattenere persone per qualcosa che hanno fatto ma solo per quello che sono, ovvero disgraziati senza un permesso di soggiorno.
MIGRANTI E TERRORISTI «In questo momento sarebbe la cosa più sbagliata fare un’equazione tra immigrazione e terrorismo», ha detto ieri Minniti. Precisazione giusta e doverosa, se non fosse che proprio la notizia di nuove e più severe misure contro i migranti, uscita a ridosso dell’attentato compiuto a Berlino contro un mercatino di Natale, ha contribuito non poco ad alimentare un pericoloso equivoco.
TRATTATI CON I PAESI TERZI «E’ difficile che si possa procedere al respingimento immediato di una persona irregolare. Non esistono le procedure», ha ammesso Minniti. L’italia oggi ha accordi per i rimpatri forzati solo con Marocco, Tunisia, Egitto e Nigeria, più un accordo di cooperazione tra forze di polizia firmato ad agosto 2016 dal capo della polizia Franco Gabrielli con il collega sudanese. Minniti ha ribadito di volersi recare in Libia per trattare l’argomento con il governo di Tripoli. Possibilità alquanto difficile, vista l’estrema precarietà del premier Fayez al Serraj. Molto più realistico invece che a fermare i migranti sarà, già dalla prossima primavera, la nuova Guardia costiera libica al cui addestramento sta provvedendo da settimane la missione europea Sophia. Con un particolare. I militari libici riporteranno i barconi carichi di migranti in Libia, paese che fino a oggi non ha dimostrato alcun rispetto dei diritti umani di quanti fuggono da guerre e miseria.
IN PARLAMENTO Il ministro ha annunciato di voler presentare in parlamento le nuove misure, che per il Pd hanno anche un chiaro valore elettorale in vista di possibili elezioni. Ma i provvedimenti potrebbero trasformarsi in un boomerang visto il rischio concreto che ad appoggiarli alla fine siano solo le destre. E il ministro di un governo di centrosinistra sostenuto dalle destre potrebbe non fare buona impressione agli elettori.
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