Il bluff del governo sulle povertà: un sussidio solo per un milione su quattro
Welfare all’italiana. Gentiloni rilancia il Ddl abbandonato da Renzi al Senato, una modesta proposta parziale per cui sono stati stanziati poco più di 1 miliardo. Ne servono altri sei
Dopo lo schiaffo al referendum del 4 dicembre, il governo Gentiloni ripesca il Ddl povertà per dimostrare di far qualcosa di “sociale”. Intende riprendere un Ddl abbandonato da Renzi al Senato e, a suo tempo, acclamato come una «riforma storica». Facendo le veci del suo collega al Welfare Giuliano Poletti, ieri il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina ha annunciato un non meglio precisato «decreto d’urgenza» per sbloccare un provvedimento che stanzia poco meno di 1 miliardo e mezzo per un milione e 600 mila famiglie, 4,5 milioni di persone in povertà assoluta. Per il momento beneficeranno del sussidio 280 mila famiglie pari a un milione di persone, minori inclusi. Poletti ha reso noto che a marzo, tra tre mesi, emanerà un «decreto ministeriale» che, in base all’esperienza del «Sostegno di inclusione attiva» (Sia), determinerà «la platea dei beneficiari» di una misura «universale» di contrasto alla povertà.
DI «UNIVERSALE» tale misura non ha nulla perché eroga un sussidio fino a 400 euro che sottoporrà famiglie numerose con figli minori e Isee fino a 3 mila euro a un’intensa attività di profilazione e controllo da parte dei servizi sociali degli enti locali e per l’impiego. Si tratta di un sussidio di ultima istanza che riproduce il limite della categorialità, ovvero la segmentazione dei «poveri» in categorie e sotto-categorie (per età, status lavorativo o pensionistico, ad esempio). Nel Ddl sono stati inoltre fissati criteri di accesso macchinosi ed è stato introdotto l’approccio «welfare to work». I beneficiari dovranno accettare percorsi di inserimento lavorativi ancora non chiariti per non perdere il modesto sussidio. Il prevedibile risultato sarà quello di mantenere le persone nella «trappola della povertà».
«LA COMMISSIONE LAVORO del Senato è pronta ad accelerare l’iter del Ddl di contrasto della povertà trasformandolo anche in testo immediatamente dispositivo» ha sostenuto Maurizio Sacconi, presidente della commissione. Quest’ultimo preme affinché non sia lo Stato e il pubblico, ma il terzo settore e gli enti locali – in una chiave di sussidiarietà – a gestire l’erogazione dell’assegno nell’ambito di un programma di recupero o di prevenzione. Segnali inquietanti che lasciano intendere come il governo della povertà diventerà il nuovo business della sussidiarietà.
A CONTI FATTI questo «strumento di contrasto alla povertà» erogherà meno di 60 centesimi al giorno i «poveri assoluti» accertati dall’Istat. La dotazione è pari a un decimo del fondo da 10 miliardi destinato al bonus Irpef degli 80 euro, riservato ai dipendenti tra 8 e 26 mila euro di reddito, ed è ancora inferiore rispetto agli 11 miliardi erogati in un triennio alle imprese per assumere lavoratori stabilmente precari con il Jobs Act. Per istituire un reddito di inclusione contro la povertà, stando ai calcoli del cartello di 35 associazioni «Alleanza contro la povertà» che ha proposto il reddito di inclusione sociale (Reis), occorrerebbero 7 miliardi di euro, ne mancano dunque sei. Per contrastare la povertà relativa, e tutelare i nuovi poveri – i working poors, pari a oltre 8 milioni di persone – occorrerebbe un reddito minimo il cui costo – analizzato dall’Istat – varia dai 14,9 ai 23,5 miliardi all’anno per importi pari a 640 e 780 euro mensili a testa. Sono questi, rispettivamente, gli importi delle proposte di legge presentate dal Movimento Cinque Stelle e da Sel che giacciono da anni nei cassetti delle camere. Per dare l’idea della sproporzione dei mezzi, per il solo RSA (Revenu de solidaritè) la Francia spende 10 miliardi di euro l’anno.
LE MISURE in discussione non hanno nulla a che vedere con il reddito minimo garantito richiesto dall’Unione Europea sin dal 1992. L’Italia è l’unico paese europeo, insieme alla Grecia, a non avere un simile strumento. E continuerà a non averlo anche quando il «piano contro la povertà» sarà adottato dal nuovo governo.
***Pensavano fosse la lotta alla povertà, invece era la social Card di Tremonti di Giuseppe Allegri
Welfare all’italiana. Dopo lo schiaffo al referendum del 4 dicembre, il governo Gentiloni ripesca il Ddl povertà per dimostrare di far qualcosa di “sociale”. Contro l’esclusione sarà istituito un “reddito di inclusione” che altro non è che l’estensione della social card creata dal governo Berlusconi IV. Una misura inefficace che non risolverà nulla. Al decimo anno di crisi i governanti continuano a scherzare sulla pelle degli esclusi, dei precari e dei poveri. E non se ne rendono conto
*** I più poveri d’Europa
Dopo la Grecia, l’Italia è il paese europeo dove la povertà è aumentata di più dal 2008. Al Sud ci sono più italiani che stranieri nei centri Caritas. Cresce la miseria tra i giovani senza lavoro. La caritas chiede un piano universale entro il 2020, ma il governo ha approvato una misura per soli due anni con fondi insufficienti per affrontare l’emergenza
***La bufala del reddito minimo e la realtà dei poveri in Italia
Il governo Renzi sta promuovendo una nuova bufala. Dopo avere scambiato il «Jobs Act delle partite Iva» per uno «statuto del lavoro autonomo», ora è impegnato in un’altra campagna. Il Cdm avrebbe approvato addirittura il «reddito minimo». In realtà si tratta di un sussidio per un milione di poveri assoluti (su 4)
*** Per essere degni ci vuole come minimo un reddito
La campagna “reddito di dignità” promossa da Libera di Don Ciotti, il Bin – Basic income network-italia e il Cilap alla quale ha aderito Landini (Fiom). Le differenze con la campagna per il “Reddito di inclusione sociale” (Reis) alla quale ha aderito anche la Cgil di Camusso. Sul reddito le sinistre, e il sindacato, sono spaccati come una mela. Ecco perché
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