Istanbul. Un altro Bataclan

Istanbul. Un altro Bataclan

Loading

È caccia al killer entrato nel locale col cappello di Babbo Natale.“Urlava Allah Akbar”. Per alcuni testimoni erano tre a sparare. Uccisi 28 stranieri. Il Paese in stato d’assedio

ISTANBUL. BIANCO come il cappuccio del killer armato di kalashnikov, così l’hanno immortalato le telecamere facendo pensare a un falso Babbo Natale armato, che allo scoccare del Capodanno ha eluso i controlli e falciato un centinaio di persone, uccidendone almeno 39 fra locali e stranieri. Il “Bataclan” turco, nel night club più esclusivo di Istanbul.
Se l’altra notte erano 17 mila i poliziotti a presidio di una nuova, possibile, temuta strage in Turchia, oggi le forze dell’ordine sono persino raddoppiate. Quella metropoli di 18 milioni di abitanti stesa fra due Continenti è ora una città sotto assedio. Tutti a caccia dell’attentatore. Ma forse i terroristi – matrice islamica radicale, ogni dettaglio porta a questo, ma fino a tarda sera non c’è stata alcuna rivendicazione – erano almeno tre. Come molti dei testimoni indicano. Anche alcuni ragazzi di Modena, uno di Palermo, e una di Brescia rimasta leggermente ferita, che avevano deciso di trascorrere l’ultimo dell’anno in questo tempio del pop e rock turco dove fabbricano persino dischi. In tanti, nella confusione e nel terrore del momento, concordano di aver visto aprire il fuoco a più persone. Altri invece si concentrano solo sul killer vestito di bianco. «Quell’uomo sparava di sopra, nel ristorante giapponese – dice uno degli italiani – e la gente per sfuggire si buttava per terra. C’è chi ha raggiunto la balconata, tuffandosi in acqua. Il Babbo Natale con il mitra colpiva la gente a bruciapelo. Senza pietà».

Nei fotogrammi della telecamera di sorveglianza il killer, mostrato mentre si spoglia dei suoi abiti, ha ora un volto. È un giovane, barba e capelli scuri. Alcuni dicono avesse gridato “Allah u’ Akbar”, Dio è grande, quando maneggiava l’arma scaricandola su gruppi indistinti di avventori: sauditi, giordani, libanesi, franco-tunisini, israeliani, belgi, indiani, iracheni, canadesi, kuwaitiani. E poi libici, marocchini. Queste le nazionalità dei 28 stranieri accertati come uccisi. Gli altri 11 sono turchi. Tutti avevano speso una piccola fortuna per passare la serata nella discoteca dove vanno Daniel Craig e Naomi Watts.
È la Istanbul laica, quella dei ristoranti sullo Stretto e dei negozi di bigiotteria sulla spianata di Ortakoy a essere colpita. Così come poche settimane fa lo era quella a soli 5 minuti da qui, nel quartiere di Besiktas, dove una quarantina di persone, agenti di polizia soprattutto, erano saltate in aria per una doppia esplosione vicino lo stadio della squadra campione di Turchia.
Ma oggi Istanbul è deserta. Quasi nessuno straniero alla fila dei passaporti all’aeroporto. Del tutto libera la strada verso Besiktas. Vuoto il ristorante Ali Baba, di solito rutilante di luci, prima del ponte. Spente le luci al ministero degli Affari Europei. Ingialliti i ritratti di Mustafa Kemal che si susseguono sui muri. Una città rassegnata. Solo il trenta per cento di presenze negli alberghi. «Io non nutro più fiducia in questo Paese – dice Cagla, una delle impiegate in hotel – abbiamo paura non solo di parlare, ma pure di uscire per andare al lavoro. Non sai mai quello che rischi. Qualche amica mi dice: prenditi delle lunghe ferie, almeno salvi la pelle».
Alla tv si presenta il premier Binali Yildirim, terreo in volto. Dice che l’assalitore ha abbandonato l’arma e sparso indizi: «Ha sparato al poliziotto all’ingresso, è entrato, ha aperto il fuoco e ucciso persone innocenti. Quindi ha lasciato l’arma e abbandonato il luogo, approfittando del caos». Smentisce poi l’informazione che il terrorista fosse travestito da Babbo Natale.
Dentro al Reina c’erano almeno 500 persone. È uno dei ritrovi più rinomati dell’alta società di Istanbul: celebrità, calciatori, imprenditori, stranieri. Alla porta, sempre gorilla ben piazzati e vestiti di nero. Il proprietario del club, Mehmet Kocarslan, teme ora per il futuro del suo locale: «I servizi americani avevano avvisato sulla possibilità di attacchi una settimana prima. Erano state prese misure di sicurezza in più». Gli Usa non confermano. Ma il fatto è, nonostante la presenza capillare di gendarmi ovunque, che ormai i jihadisti si travestono da agenti per infiltrarsi e colpire. È accaduto pochi giorni prima di Natale ad Ankara, quando un poliziotto si era finto guardia del corpo dell’ambasciatore russo, e poi gli aveva scaricato il revolver alle spalle. Molte foto, nei giorni scorsi, mostravano Babbi Natale in giro per le strade, in realtà poliziotti in servizio. Uno estremo sfregio, da parte dei terroristi, nei confronti della sicurezza turca, mai seconda a nessuno, eppure oggi così fragile.
Compare in tv anche Recep Tayyip Erdogan, il Presidente: «Questi attacchi, commessi da diverse organizzazioni terroriste contro i nostri cittadini, non sono indipendenti da altri incidenti che accadono nella regione. L’attentato è stato realizzato da chi vuole seminare il caos. Stanno cercando di abbattere il nostro morale, colpendo deliberatamente i civili. Ma noi non cederemo». La Turchia non cederà, però è colpita al cuore. Ed è un cuore che batte all’impazzata, adesso, nel terrore che un altro attacco arrivi, non si sa dove.

SEGUI SU LA REPUBBLICA



Related Articles

Carcere, senza capo né coda

Loading

Fuoriluogo. Ancora non è stato nominato il capo del Dap. Per la prima volta nella storia delle galere italiane si assisterà a un ferragosto privo del vertice responsabile. Tra ferie dei provveditori e dei direttori, del personale civile e della polizia penitenziaria assisteremo alla novità degli istituti governati dai detenuti. Purtroppo non si tratterà di una felice autogestione ma la certificazione dello stato di abbandono

Cina, una svalutazione che aiuta l’export ma segna uno stop al «sogno cinese»

Loading

Cina. Decisione storica sullo yuan contro il rallentamento economico. Pechino ha agito per aumentare le esportazioni, ma la scelta segnala un limite del «sogno cinese» del presidente Xi Jinping.

Jobs act, cosa cambia (davvero)

Loading

Secondo la mediazione di Renzi il Jobs act eliminerebbe il reintegro solo in quest’ultima ipotesi. Le aziende in difficoltà potrebbero «pagare» per mandar via il lavoratore senza rischiare il reintegro

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment