Intervista a Marco Bersani. Una Cassa che sta sopra il Parlamento

by Roberto Ciccarelli, Rapporto sui diritti globali 2016 | 6 Dicembre 2016 7:59

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Intervista a Marco Bersani di Roberto Ciccarelli, Rapporto sui diritti globali 2016

 

Fino alla sua trasformazione nel 2003 in SpA, con l’ingresso nel capitale sociale delle Fondazioni bancarie, la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) aveva un unico compito: sostenere, basando le proprie risorse sul risparmio postale, gli investimenti degli enti locali con finanziamenti a tasso agevolato. Oggi, CDP – sempre utilizzando il risparmio postale dei cittadini – si offre agli enti locali come partner per favorire l’alienazione del patrimonio pubblico e la privatizzazione dei servizi pubblici locali. È diventato un attore economico che interviene su tutte le scelte economiche e finanziarie del Paese senza alcun indirizzo da parte del Parlamento, e su sollecitazione diretta del governo. Un’anomalia tutta Italia, dell’unico Paese che ha privatizzato l’intero sistema bancario. Ne parliamo con Marco Bersani, protagonista della campagna per una “Nuova Finanza Pubblica”.

 

Rapporto Diritti Globali: Ci può tracciare una mappa del mondo della Cassa Depositi e Prestiti?

Marco Bersani: CDP è diventata una piovra tentacolare. Dal 1850, quando è nata, aveva un’unica struttura e un’unica funzione: era un ente di diritto pubblico che raccoglieva il risparmio postale dei cittadini. Usava quel risparmio per finanziare gli enti locali con tassi agevolati. In buona sostanza, quel poco di welfare che c’è stato dal dopoguerra in poi in Italia è stato finanziato con questo meccanismo. I risparmi postali servivano per i finanziamenti a tassi agevolati. Con il governo Berlusconi nel 2003 avviene una trasformazione storica: CDP viene privatizzata. La si trasforma in una Società per azioni e nel capitale entrano le Fondazioni bancarie. Fino agli anni Novanta le banche erano escluse dai mercati degli investimenti degli enti locali, i quali potevano finanziarsi solo attraverso CDP. Quando la Cassa smette di fare prestiti a tassi agevolati, per farli a tassi di mercato come le banche, per gli enti locali diventa possibile entrare nel mercato degli investimenti bancari.

Questo sistema è stato, nel frattempo, privatizzato: nel 1992 la Germania aveva il 61% del controllo pubblico sulle banche, oggi ha il 52%. La Francia aveva il 36% oggi ha il 31. L’Italia aveva il 74,5%, oggi ha lo zero. Siamo l’unico Paese che ha privatizzato tutto il sistema bancario. CDP è diventata un soggetto economico sempre più indipendente che interviene sul mercato non sulla base di input stabiliti dal Parlamento, come dovrebbe essere da statuto, ma come un soggetto finanziario che tiene conto degli input del governo e che poi agisce su tutte le banche dell’economia nazionale. La vera politica economica oggi la fa CDP, e non il Parlamento e neppure il governo, finanzia la dismissione degli immobili pubblici, le fusioni delle società dei servizi, interventi nell’industria che non sono figli di una programmazione o di una discussione politica, ma di decisioni autonome. I cittadini mettono i risparmi nelle Poste e questi servono a dismettere i servizi e privatizzare il patrimonio pubblico. CDP diventa così la vera leva finanziaria di tutta l’economia italiana.

 

RDG: Quali sono i motivi di questa trasformazione radicale del suo mandato?

MB: Il motivo di fondo è che oggi il modello liberista, cioè il modello capitalista nella fase della sua finanziarizzazione, ha necessità di mettere sul mercato parti dell’economia e della società che prima ne erano esclusi e di valorizzare beni comuni patrimonio pubblico e servizi. In questo senso, per esempio, il patto di stabilità applicato agli enti locali è stato funazionale a metterli con l’acqua alla gola per costringerli a cedere quello che hanno: territorio, servizi e patrimonio pubblico. A livello di economia generale, CDP non ha come finalità il miglioramento delle condizioni di vita e uno sviluppo orientato socialmente ed ecologicamente, ragiona in termini di valorizzazione finanziaria.

 

RDG: Vediamo i capitoli più importanti del 2016: iniziamo con l’Ilva. Che ruolo ha cdp?

MB: L’intervento sull’Ilva porta la CDP fuori dal suo perimetro istituzionale. Gli interventi che può fare per statuto sulle aziende devono essere rivolti ad aziende che sono in condizioni economiche e finanziaria buone e hanno prospettive di innovazione tecnologica. Di fatto sull’Ilva interviene su un soggetto disastrato economicamente e soprattutto per un salvataggio legato all’immediato, senza prospettiva strategica su Taranto e sulla siderurgia italiana. L’Ilva è uno dei nodi che permetterebbe di ragionare su un altro modello economico ed ecologico.

 

RDG: Un’altra partecipazione di CDP è al fondo bancario Atlante. In cosa consiste?

MB: In Italia, per molti anni, si è fatto finta che il sistema bancario fosse solido. Poi si è scoperto che non è lo è: è stracolmo di crediti inesigibili, la situazione è molto pesante. Si cerca il salvataggio delle banche, ancora una volta con la garanzia dell’intervento pubblico. Gli interventi di CDP sono interventi garantiti dallo Stato. Ancora una volta, la crisi delle banche viene rovesciata sui cittadini come è avvenuto all’inizio della crisi, quando un debito privato delle banche è stato trasformato in debito pubblico. Sono scelte di cortissimo respiro in cui CDP viene usata senza una discussione pubblica e nemmeno in Parlamento.

 

RDG: CDP investe in Egitto. In cosa consistono questi investimenti? Quali sono gli altri Paesi in cui CDP è presente?

MB: Attraverso quello che prima si chiamava “Fondo strategico italiano”, oggi ridenominato “CDP equity SpA”, CDP ha avviato una serie di operazioni di joint venture con il Qatar e con gli Emirati Arabi nel settore del lusso e del turismo. Con l’Egitto gli investimenti riguardano la costruzione di infrastrutture. Anche in questo caso mi chiedo quale sia la strategia dietro questi investimenti. Perché, ad esempio, dobbiamo usare i risparmi dei cittadini per finanziare il mercato del lusso? In secondo luogo, si dovrebbero controllare investimenti per aree in cui si discute molto riguardo la questione del terrorismo islamico. Tutto questo dovrebbe avvenire in Parlamento, dove dovrebbe esistere una commissione di vigilanza sulle attività di CDP. Sarebbe previsto anche l’obbligo di una relazione annuale. A noi risulta che sono anni che non si riunisce, nemmeno una volta dall’insediamento del governo Renzi.

 

RDG: In cosa si differenzia la CDP dal ruolo della sua analoga francese Caisse des Dépôts?

MB: È il modello opposto, nonostante CDP sia nata a imitazione della Cassa francese, creata nel 1816. La Caisse des Dépôts è un ente di diritto pubblico, non una SpA come quella italiana. Interviene su tutti i settori dell’economia secondo le indicazioni del Parlamento. C’è una programmazione dell’attività economica e ci sono scelte politiche in cui si dice in quali settori dell’economia sono utili gli investimenti. In Italia siamo stati più realisti del re: l’idea del ritiro dalla politica dell’interesse pubblico ha reso possibile l’esistenza di soggetti economici che dipendono dalla politica e si muovono invece in maniera autonoma.

 

RDG: I problemi sono gli investimenti e la bassa crescita. Molti sostengono che lo Stato dovrebbe investire e anche assumere direttamente. Questa è la soluzione? E in questo caso, quale dovrebbe essere il ruolo della CDP?

MB: Servirebbero due soggetti. CDP dovrebbe tornare alla sua funzione originaria, con una modifica: dovrebbe servire a finanziare gli investimenti dei enti locali a tassi agevolati, secondo un modello di governance decentrato e territorializzato. La programmazione degli investimenti dovrebbe essere fatta con strumenti di partecipazione pubblica. CDP dovrebbe finanziare l’esito di questi processi di partecipazione pubblica territoriale. Servirebbe, inoltre, un secondo soggetto per i grandi investimenti rispetto al Paese che applica i principi e i progetti elaborati in una discussione pubblica e partecipata sul modello economico sociale ed ecologico da perseguire.

 

RDG: Di che tipo di soggetto si tratta?

MB: Attualmente non esiste e sarebbe da inventare. Per farlo dovremmo iniziare a ragionare a partire dalla fine dell’epoca delle grandi opere, invece di continuare a mettere in campo grandi investimenti per una miriade di piccoli interventi. Per esempio la sistemazione idrogeologica del territorio, la messa in sicurezza antisismica, la costruzione di un modello di produzione energetica basata sull’energia diffusa, territoriale e autoprodotta; la creazione di una mobilità territoriale e pendolare. Prima occorre aver chiaro e dire qual è il modello verso cui andiamo e poi decidere dove e come usare i fondi.

 

RDG: Dopo il terremoto nel Centro Italia nell’agosto 2016, il governo Renzi sembra essere intenzionato a varare un programma ventennale con 100 miliardi di euro che va in questa direzione. Che ne pensa?

MB: Se si ragiona su un progetto ventennale di messa in sicurezza del territorio, questa è la strada. Non può dipendere dalla flessibilità di bilancio accordata di volta in volta dalla Commissione Europea. In Europa dev’essere chiaro che qualsiasi vincolo finanziario non può comprimere il diritto alla vita, alla sicurezza, a una vita dignitosa di tutte le popolazioni. Prima i diritti fondamentali, poi le questioni di bilancio e della finanza. In secondo luogo, cosa che ritengo altrettanto importante, è che qualsiasi governo intenzionato a sviluppare un progetto di queste dimensioni, e mai fino a oggi realizzato, né mai pensato, deve trovare il modo per coinvolgere le popolazioni.

 

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Marco Bersani: laureato in Filosofia, è dirigente comunale dei servizi sociali. Attivo nei movimenti ecologisti sin dagli anni Ottanta, è stato consigliere comunale a Saronno (Va) e consigliere provinciale a Varese per una lista civica alternativa negli anni Novanta. Socio fondatore di Attac Italia e tra i portavoce del Genoa Social Forum nel luglio 2001, è tra i principali animatori del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, che dato vita alla vittoriosa campagna referendaria del giugno 2011. È fra i promotori del Forum per una nuova finanza pubblica e sociale, che propone una campagna per l’indagine indipendente (audit) sul debito e una campagna per la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, che gestisce il risparmio postale dei cittadini. È fra i promotori della campagna “Stop TTIP!”, contro il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti, in corso di negoziazione tra USA e UE.

Collabora con il quotidiano “il manifesto” e con diverse riviste on line. Ha scritto Acqua in movimento – Ripubblicizzare un bene comune” (Edizioni Alegre, 2007), Nucleare: se lo conosci lo eviti (Edizioni Alegre, 2009), Come abbiamo vinto il referendum (Edizioni Alegre, 2011), CatasTroika – Le privatizzazioni che hanno ucciso la società (Edizioni Alegre, 2013). È stato coautore di Come si esce dalla crisi (Edizioni Alegre, 2013).

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