by Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera | 12 Dicembre 2016 9:46
I cristiani egiziani ancora nel mirino del terrorismo. Un pacco bomba contenente circa 12 chili di dinamite è esploso ieri mattina durante la messa domenicale in una cappella secondaria di San Marco, la maggiore basilica copta del Cairo. Pare fosse stato deposto da una donna tra i banchi della sezione femminile della basilica (in genere donne e uomini siedono in aree separate nei luoghi di culto copti), che sarebbe riuscita a dileguarsi pochi minuti prima della deflagrazione. «C’è stato un grande boato, che ha fatto tremare l’edificio. Nei primi secondi non si vedeva nulla a causa della polvere. Poi ho scorto le vittime a terra coperte di sangue tra calcinacci e rottami. C’erano grida, confusione, detriti», ha dichiarato alle agenzie stampa uno dei fedeli, Emad Shoukry.
Il bilancio delle vittime è uno tra i più gravi della storia recente egiziana. I morti sarebbero almeno 25. Tra loro sei bambini e diverse donne. I feriti quasi cinquanta, molti gravissimi. Dati che superano per gravità quelli dell’attentato di Capodanno ad Alessandria nel 2010, quando 21 fedeli rimasero uccisi. Ieri la polizia della capitale è dovuta intervenire per placare la protesta cristiana, che da tempo chiede al governo maggior protezione. Ma il nuovo bagno di sangue non è certo una novità. Sono almeno tre decenni che la minoranza copta — circa 9 milioni di persone, il 10 % di tutti gli egiziani — viene periodicamente aggredita. La maggioranza delle violenze non è neppure registrata dai media. Ci sono periodi in cui la rete di villaggi e cittadine cristiane situate nell’Alto Egitto lungo la valle del Nilo, tra Assiut e Minya, è messa a ferro e fuoco. Veri e propri pogrom organizzati dagli estremisti islamici locali. In genere dopo le violenze la polizia interviene, blocca le zone con il coprifuoco e cerca di riportare la calma.
Oggi i copti tendono a sostenere il regime militare comandato col pugno di ferro dal presidente Abd Al Fattah Al Sisi. Come spesso avviene in Medio Oriente, le minoranze etnico-religiose vedono nei governi forti una garanzia contro il fondamentalismo montante. Ma una delle conseguenze è che i jihadisti considerano gli attentati contro le chiese come un modo per attaccare il regime. Sino a ieri sera non era giunta alcuna rivendicazione credibile. Ma sulla rete diversi siti legati a Isis festeggiavano «l’attacco contro gli infedeli». Il Califfato è sulla difensiva in tutta la regione. In Libia ha appena perso la roccaforte di Sirte, mentre le forze del generale Khalifa Haftar (sostenute dall’Egitto) lo combattono in Cirenaica. Non sarebbe strano che Isis cercasse di vendicarsi colpendo i copti.
Lorenzo Cremonesi
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