Le tante vite di Paolo Gentiloni, il «felpato». I cortei, i Verdi, la Margherita

Le tante vite di Paolo Gentiloni, il «felpato». I cortei, i Verdi, la Margherita

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ROMA «Ho un sacco di cose da fare per il Paese, ci sono molte difficoltà, ma abbiamo molte, molte risorse. Daremo una mano se ci viene chiesto, ma fare la legge elettorale spetta al Parlamento. Sono qui per aiutare il dialogo». Parla così il premier incaricato durante le consultazioni alla Camera. E conferma il temperamento già chiaro il 12 dicembre 1970 quando Paolo Gentiloni, liceale sedicenne al prestigioso «Tasso», decide di raggiungere Milano senza il permesso dei genitori per partecipare alla manifestazione organizzata per il primo anniversario della strage di piazza Fontana. Però prima di andarsene avverte il professore di religione amico di famiglia, il padre gesuita Tommaso Ambrosetti.

Una fuga, sì. Ma felpata. E così il papà Carlo Alberto, avvocato, e la mamma Maria, veneta con una lontana parentela con Antonio Fogazzaro, si tranquillizzano. Nasce il «metodo Gentiloni». È il carattere che lo porterà, 46 anni dopo, a Palazzo Chigi. L’uomo è fatto così: nell’aprile 2013 corre per le primarie a sindaco di Roma, arriva terzo dopo Ignazio Marino e David Sassoli nonostante l’appoggio di Walter Veltroni e di Renzi. Roba da far imbufalire chiunque. Reazione: «Non siamo riusciti a intercettare la domanda di qualità nelle proposte di governo e di buona politica». Lo conferma il suo vecchio amico Ermete Realacci: «Per dire che uno è un cretino può usare giri di parole di mezz’ora». La mediazione è nel suo Dna, nella nascita nella famiglia dei conti Gentiloni Silverj, radici marchigiane (con castello) a Tolentino e palazzo romano di famiglia a largo san Bernardo, nobili di Macerata, Cingoli e Filottrano, nel cuore dell’antico Stato Pontificio.

L’antenato Domenico compose nel 1846 l’inno «L’Armonia religiosa» per la prima Messa a san Pietro di Pio IX. Ottorino fu l’architetto di quel «patto Gentiloni» che permise ai cattolici, nel 1913, di tornare a votare dopo il «Non expedit» di Pio IX. Il «Tasso», per Paolo Gentiloni, significa l’incontro col Movimento studentesco, le occupazioni ma anche la crescita con un variegato gruppo di notevole futuro: Lucio Caracciolo, futuro direttore di Limes , Marco Muller, destinato alla direzione della mostra del cinema di Venezia, e poi Antonio Tajani, Marco Follini, Maurizio Gasparri. Si ritroveranno su vari fronti in Parlamento. L’esordio nella vita professionale, con la laurea in Scienze politiche, è nel giornalismo, prima Fronte popolare , poi Pace e guerra fondata da Michelangelo Notarianni e Luciana Castellina, ci sono Stefano Rodotà e Claudio Napoleoni, collabora un giovane Massimo Cacciari deputato del Pci che gira per Roma in 500. Nel 1984 la direzione di Nuova ecologia , il periodico di Lega ambiente.

Uno snodo di vita essenziale. In quell’ambito conosce il verde Francesco Rutelli, si capiscono subito. Nove anni dopo approderanno in Campidoglio: Rutelli sindaco, Gentiloni portavoce e poi, nel 2000, assessore al Giubileo. Stringe legami con la Chiesa, l’imprenditoria, i costruttori, il volontariato, la comunità ebraica, i commercianti. Sono gli anni in cui mette a fuoco la sua strada moderata, nel 2001 è tra i fondatori de La Margherita. Però non dimentica le sue passioni politiche giovanili. Nelle ore della visita di Fidel Castro in Campidoglio, nel 1996, entra nello studio del sindaco Rutelli: «Francesco, questo qui me lo devi proprio far conoscere». E così succede. L’uomo è affettivamente solido, dal 1988 è sposato con Emanuela Mauro, detta Manù, architetto, niente figli ma il legame tra i due è profondo e regge al tempo.

Nel 2001 è deputato per La Margherita, cura la comunicazione del partito, dal 2005 al 2006 presiede la delicatissima commissione di Vigilanza Rai. Esperienza che mette a frutto nel governo Prodi II come ministro delle Comunicazioni dal 2006 al 2008: lì mette a fuoco un progetto di riforma del sistema televisivo che allarma profondamente Mediaset e prevede la trasformazione della Rai in una Fondazione. La crisi butta via tutto, e magari sarebbe stata la riforma giusta, chissà. Il 31 ottobre 2014 l’approdo alla Farnesina, di nuovo una tela tessuta a colpi di mediazione, ottimi rapporti Usa e Russia. Adesso Palazzo Chigi. Applicherà, c’è da giurarci, il metodo Gentiloni. Come sempre .

Paolo Conti

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