Matteo Renzi nella strettoia del reincarico
Il minuetto delle consultazioni è cominciato alle 18 di ieri con l’arrivo al Quirinale del secondo cittadino dello Stato, Pietro Grasso. Il colloquio tra il presidente della Repubblica e quello del Senato è durato una mezz’ora, poi Grasso è uscito per essere sostituito dalla presidente della Camera Laura Boldrini, e con i giornalisti non si è fatto sfuggire un fiato. Questione di rispetto istituzionale, ovviamente, ma anche se non ci fosse stato quello di mezzo probabilmente Grasso avrebbe tenuto comunque la bocca cucita. Anche se è stato cancellato dai toto-premier che impazzano sa bene di essere ancora in corsa.
Ha chiuso la sfilata il presidente emerito Giorgio Napolitano. Di solito la consultazione degli ex presidenti ha scarso significato politico. Stavolta è l’opposto, perché Napolitano resta uno dei principali artefici occulti della politica italiana. Il referendum è stato anche una sua sconfitta personale, ma non significa affatto che abbia smesso di tessere le sue tele. Anche re Giorgio, come la presidente della Camera, è uscito dal Quirinale senza dire una parola.
Sul tavolo di Sergio Mattarella dovrebbe campeggiare la proposta lanciata ieri dal Pd, che verrà ripetuta e ufficializzata domani dalla delegazione capeggiata dal vicesegretario Guerini e non da Renzi: governo istituzionale a lunga scadenza ma solo se appoggiato da altre forze politiche oltre a quelle della maggioranza oppure elezioni subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Però tutti sanno che è una proposta finta, squadernata nella certezza della sua impraticabilità. Deciso a non perdere tempo, addirittura con la speranza di chiudere la crisi entro il 15 dicembre, Mattarella guarda già al day after. Non ci saranno nuove consultazioni, non formali almeno. Sarà il capo dello stato a decidere sulla base di quanto emergerà nei prossimi giorni. Quando tutti i partiti d’opposizione, a cominciare da Forza Italia, avranno confermato la loro indisponibilità all’allargamento della maggioranza per un governo istituzionale.
La vera partita inizierà solo a quel punto, e dovrebbe essere rapidissima, ma il tavolo va apparecchiato subito e il presidente ha tutte le intenzioni di farlo confermando quanto già detto: per arrivare alle elezioni non basta la sentenza della Consulta. Bisogna che ci sia una vera legge elettorale omogenea per entrambe le Camere. Va fatta una nuova legge o almeno vanno armonizzate quelle, al momento contraddittorie, uscite dal rimaneggiamento della Corte costituzionale. Si sa che Renzi non è d’accordo. Ha messo nero su bianco che senza il governo istituzionale si deve votare con le leggi che già ci sono. Ma dopo la mazzata del referendum, con ampie aree del Pd non disposte a seguirlo su questa strada e con l’arbitro determinato a tener duro sul punto, è difficile pensare che possa imporre la sua scelta.
Dunque sia il capo dello Stato che Renzi aspettano la fine del giro a vuoto per scoprire le proprie carte. Quella di Mattarella sarà quasi certamente la proposta di un governo del presidente, guidato cioè da un premier indicato dal Colle: il ministro Pier Carlo Padoan o lo stesso Pietro Grasso. Per fermare Mattarella, Renzi ha una sola carta, di sicuro effetto ma costosissima: chiedere il reincarico. Il Colle non avrebbe nulla da ridire: si tratterebbe anzi certamente dell’opzione più gradita. Ma il prezzo in termini di immagine sarebbe altissimo. Per questo chi cerca di convincere il diretto interessato a soprassedere non esita a parlare di uno sbaglio paragonabile alla disastrosa scelta di personalizzare il referendum.
Renzi al momento non ha ancora deciso. L’ipotesi gli piacerebbe molto e soprattutto i componenti della sua guardia di ferro insistono, ben consapevoli che per loro, ancora più che per l’ex premier, è questione di vita o di morte. Ma per tornare a palazzo Chigi dovrebbe riuscire a farlo senza perdere la faccia e ancora non sa quale possa essere quella tortuosa strada. Spera che le cose si ingarbuglino tanto da far apparire il suo rientro in scena come un gesto di responsabilità e non una scelta. Un sacrificio. Ma che quella possibilità si realizzi è da dimostrarsi: se non proprio impossibile è improbabile che si presenti.
Sulla carta ci sono altre ipotesi. Ieri erano gli stessi renziani a far circolare alcuni nomi, quello del ministro Gentiloni o forse addirittura Delrio. Tutto è possibile ma l’ipotesi che un governo politico, sostenuto da questa stessa maggioranza e destinato per forza a restare in carica ben oltre marzo, fino a giugno e forse fino al febbraio 2018, possa essere guidato da un ministro politico del governo in carica suona come poco credibile.
Il vero bivio è tra una riconferma di Renzi, che per il Pd potrebbe rivelarsi tombale, e un premier tecnico o istituzionale: il ministro non politico Padoan, in nome dell’emergenza economica, oppure, ma è assai meno probabile, il presidente del Senato.
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