Le carte sconfessano la polizia: Giulio Regeni seguito per settimane
A dispetto di quanto dichiarato fin qui dalle autorità cairote, la polizia egiziana aveva continuato ad indagare su Giulio Regeni – rapito il 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere sulla strada che collega Alessandria al Cairo il 3 febbraio successivo – almeno fino al 22 gennaio 2016. E non solo «per tre giorni» a seguito dell’esposto su Regeni presentato il 7 gennaio dal capo dei sindacati indipendenti degli ambulanti cairoti Mohamed Abdallah, come aveva assicurato il procuratore generale d’Egitto, Ahmed Nabil Sadek, durante l’ultimo incontro con il capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, tenutosi al Cairo a settembre.
È forse l’unica verità che finora è emersa – e probabilmente emergerà – dall’ingente mole di documentazione che finalmente le autorità egiziane hanno consegnato alla Procura di Roma, dopo l’ennesima rogatoria inviata a settembre, durante il vertice che si è tenuto per due giorni nella scuola di polizia di via Guido Reni. Il comunicato congiunto emesso ieri a conclusione dell’incontro – il quinto, dall’inizio della “collaborazione” – rende palese la soddisfazione di Pignatone e del pm Sergio Colaiocco, titolare dell’inchiesta italiana sull’omicidio del giovane ricercatore friulano. Questa volta sono davvero tanti, i documenti, i verbali e i tabulati consegnati da Sadek. Tutto in arabo però, e per decifrare i file bisognerà prima renderli compatibili con i software italiani. Perciò, malgrado i traduttori abbiano lavorato per l’intera notte, ci vorranno ancora almeno un paio di settimane per capire se davvero il materiale risponde alle aspettative italiane.
i sono due verbali da 50 pagine l’uno. Il primo contenente le dichiarazioni dei poliziotti che il 24 marzo uccisero in un «conflitto a fuoco» i cinque egiziani poi artatamente accusati di essere gli assassini di Regeni.
E il secondo con le dichiarazioni rese da Abdallah, «da cui emerge – spiega il comunicato delle procure – come lo stesso abbia spontaneamente riferito alla polizia dei contatti da lui avuti con Giulio Regeni fino al 22 gennaio 2016». Inoltre gli inquirenti egiziani hanno consegnato anche «un video dell’incontro avvenuto ai primi di gennaio tra Regeni e il capo dei sindacati indipendenti degli ambulanti del Cairo, realizzato da quest’ultimo». Il video però è senza data (anche se si ipotizza sia stato registrato intorno al 7 gennaio), ma soprattutto – spiega al manifesto una fonte molto qualificata della procura di Roma – i pm italiani non sono affatto sicuri che a girarlo non sia stata invece la stessa polizia cairota. Così come non è ancora chiaro se la collaborazione di Abdallah con le forze dell’ordine fosse richiesta o meno. Anche su questo si concentrerà il lavoro di riscontro di Ros e Sco. Di sicuro almeno ora si conosce l’identità dei poliziotti che intrattenevano rapporti con il sindacalista-informatore.
In questo contesto suonano un po’ vacue le parole ripetute dal procuratore Nabil Sadek a Paola e Claudio Regeni nell’incontro avuto con loro martedì: «Il mio impegno è di non chiudere le indagini finché non saranno arrestati i responsabili», ha detto ai genitori di Giulio definendolo un «portatore di pace». Parole riprese e sottolineate dal premier dimissionario Matteo Renzi che nel corso della direzione nazionale del Pd ha voluto «lasciare un abbraccio» alla famiglia del ricercatore torturato e ucciso in Egitto come a quella di Valeria Solesin, morta a Parigi durante l’attacco terroristico al Bataclan.
In realtà, come fa notare il senatore Pd Luigi Manconi, una «soluzione» sul caso Regeni «è lontana dall’essere prospettata». «I famigliari di Giulio Regeni – ha ricordato il presidente della commissione parlamentare dei diritti umani – sono giustamente in una posizione di attesa e di ascolto e in tutto questo tempo, nonostante le terribili delusioni e le drammatiche frustrazioni che hanno dovuto subire, con tenacia non hanno abbandonato un filo di speranza. Aspettano, ascoltano, si rendono disponibili. Ma dobbiamo ancora vedere qualcosa di concreto: finora non c’è stato».
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