Chiara Saraceno: «Basta con le accuse di populismo al No»

Chiara Saraceno: «Basta con le accuse di populismo al No»

Loading

«Mi hanno davvero irritata i commenti che fin dai primi exit poll disegnavano il voto come frutto del populismo. Il No ha dietro sicuramente tante ragioni, diverse tra loro e variegate, ma non dimentichiamo chi si è espresso sul merito della riforma costituzionale. E soprattutto, non permettiamo ai partiti populisti di intestarsi la vittoria». La sociologa Chiara Saraceno ci aiuta ad analizzare il referendum di domenica: dalla delusione dei giovani nei confronti del «rottamatore» Matteo Renzi fino alle accuse di «trumpismo» indirizzate a chi ha bocciato la proposta targata Pd.

L’accusa mossa ai sostenitori del No, a parte l’ormai celebre «accozzaglia» populista, è quella di un Paese che non sa innovarsi, che conserva e si rinchiude nelle sue paure. Da sociologa ci vede almeno un fondo di verità?
Come ho detto mi hanno molto irritato i commentatori che riducono tutto a «populismo». Il fronte del No è molto composito, hanno pesato motivazioni diverse, ma è sbagliato secondo me metterle tutte sotto il cappello del populismo e ancor di più del conservatorismo, di quelli che non vogliono cambiare niente. Ricordiamo anche i tanti che, indipendentemente dall’essere o meno a favore del governo, non apprezzavano questa riforma della Costituzione.

C’è anche chi ha votato «di pancia», come ad esempio Grillo ha invitato a fare.
Certamente, quasi tutte le opposizioni presenti in Parlamento, dai Cinquestelle alla Lega, fino a Forza Italia, per quanto con motivazioni diverse tra loro, hanno comunque espresso un voto contro Renzi. Però, ecco, da qui a dire che hanno vinto i «trumpisti» all’italiana ce ne corre: anche perché, ripeto, tanti hanno votato nel merito. E anche dietro a quel dissenso che si può essere manifestato in un voto contro il governo è sbagliato vedere solo «populismo»: ci possono essere ragioni di disagio, di malcontento, che abbiamo il dovere di individuare e analizzare, a maggior ragione per non lasciarle interpretare solo dai populisti.

A che tipo di disagio si riferisce?
Prendiamo l’Italicum: ad alcuni ha dato fastidio che una legge elettorale fosse imposta, senza contare che poi – nelle ultime settimane – si era addirittura disposti a cambiarla. Ma allora perché avete fatto quella forzatura? E poi ci sono ad esempio le periferie: tanti abitanti delle nostre città sono stanchi di essere tirati fuori solo per la politica della paura, vogliono partecipare. Interpretiamo questo voto anche come un desiderio di partecipazione per chi ha poca voce.

E i ragazzi e le ragazze? Hanno votato in massa contro il premier più giovane che l’Italia abbia mai avuto. Non è strano che Renzi non sia riuscito a intercettarli?
La retorica degli ultimi due anni è stata tutta all’insegna della «modernizzazione» e della «rottamazione», ma evidentemente qualcosa non ha funzionato. Va detto innanzitutto che i giovani sono eterogenei: alcuni in passato hanno votato perfino contro riforme delle pensioni che andavano a loro vantaggio. Diciamo in generale che non è che siano per forza più bravi o intelligenti rispetto ad altre fasce d’età: però, certo, la loro condizione non è migliorata granché con questo governo. Sono forse quelli più delusi da Renzi: probabilmente perché il premier aveva promesso tanto, direi troppo rispetto a quello che poteva realmente dare. E l’ultima finanziaria non mi pare pensi troppo a loro: pensioni, quattordicesime per chi ha già un reddito, bene che si aiutino gli anziani in difficoltà, ma per gli under 30 cosa si è fatto?

Per il futuro dell’Italia alcuni vedono una chiusura in sé stessa, una virata antieuropeista. Lei è d’accordo?
Assolutamente no, e anzi direi che per alcuni versi l’Italia mi sembrava più chiusa e rancorosa prima del voto di domenica. Certo, ora tantissimo dipenderà da chi riuscirà a intestarsi la vittoria, e importante sarà riuscire a interloquire con i tanti cittadini che hanno votato sul merito, per difendere la Costituzione. E, insieme, riuscire a sottrarre linfa ai partiti populisti, interpretando e rispondendo al disagio di chi ha votato «di pancia» o per mandare a casa il governo Renzi.

SEGUI SUL MANIFESTO



Related Articles

Letta e Renzi i due percorsi che spaccano i Democratici

Loading

Nemmeno la nube dei bizantinismi congressuali riesce a nascondere la sostanza dura dello scontro: seppure rinviando le decisioni, l’unica cosa chiara è che il governo guidato da Enrico Letta non può essere destabilizzato proprio dal Pd; e che l’idea di consegnare la segreteria e la premiership a Matteo Renzi non è gradita alla nomenklatura. La polemica sul congresso «aperto» o meno è la proiezione di questo conflitto.

La terza via che ci porta a sbattere

Loading

Renzismo. Il renzismo si basa su due concetti ricorrenti e ripetuti: il fare ed il nuovo. È a questo secondo concetto che voglio ora rivolgermi

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment