Mattarella congela Renzi. E Alfano avverte: «Al voto a febbraio»

by andrea colombo, il manifesto | 6 Dicembre 2016 8:38

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È sera quando Matteo Renzi comunica ai suoi ministri la scelta di rassegnare le dimissioni. La notizia in realtà è un’altra: le dimissioni, «per senso di responsabilità» e «per evitare l’esercizio provvisorio», resteranno congelate sino all’approvazione della legge di stabilità da parte del Senato. Non era affatto una decisione scontata. Il Renzi che in mattinata si era recato al Colle per un primo colloquio informale col capo dello Stato Sergio Mattarella, era di tutt’altro avviso: dimissioni con effetto immediato e nessun congelamento.

Che Renzi non abbia alcuna intenzione di mollare è chiaro, ma il piano di battaglia non è affatto pronto e nel suo stato maggiore regna la divisione. I duri, capeggiati da Maria Elena Boschi, da Luca Lotti e dal capogruppo Ettore Rosato alla Camera, da Andrea Marcucci e Giorgio Tonini al Senato, insistono per correre al voto subito, non appena la Consulta avrà deciso quali parti dell’Italicum vanno cancellate perché anti-costituzionali. E’ la strategia della carica a testa bassa e anche solo per questioni di carattere tenta molto il capo ferito. Quando arriva da Mattarella medita di dimettersi sia da premier che da segretario del Pd, senza rinvii, con l’intenzione di regolare i conti una volta per tutte nel partito e poi correre al voto in modo da capitalizzare subito il 40% di consensi incassati dal Sì.

Mattarella però s’impunta. La tensione sale. Il confronto diventa scontro. Dimettersi a legge di bilancio aperta vorrebbe dire esporre il Paese al rischio forte dell’esercizio provvisorio. Oltre tutto in un momento delicatissimo. Passata la soglia del referendum la Ue, il cui Eurogruppo si è riunito ieri, ha reso nota la sua prevedibile richiesta. La manovra va rivista. L’Italia deve «prendere le misure necessarie per rispettare nel 2017 il Patto di Stabilità». S’impone un intervento pari almeno a un miliardo e 600 milioni anche se, data la complicata situazione italiana, non sarà necessario intervenire subito a patto che si proceda subito dopo con una manovra aggiuntiva. Dopo l’incontro, dal Colle parte un comunicato stringato ma chiarissimo: «Vi sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni devono assicurare in ogni caso il rispetto». Vuol dire che, se si mettesse di traverso, Renzi verrebbe bollato come un irresponsabile che non esita a mettere a rischio l’intero Paese. Un marchio che chi intende battersi per tornare al governo alle prossime elezioni non può permettersi.

Alla fine il capo dello Stato e il dimissionario raggiungono un’intesa, per la verità un po’ surreale. Renzi accetterà il congelamento, purché la manovra passi il vaglio del Senato in tempi record. Un paio di giorno, tre al massimo. Arriverà oggi a palazzo Madama. La commissione Bilancio dovrebbe licenziare il testo della Camera senza cambiare una virgola in modo da farla arrivare subito in aula, dove di nuovo verrebbe approvata senza modifiche. Magari con la trovata bislacca di un voto di «fiducia tecnica» richiesta da un governo dimissionario.

«E’ una cosa impossibile – commenta la capogruppo di Sinistra italiana De Petris – la manovra è piena di cambiali in bianco, tra cui i fondi per il contratto per gli statali che non hanno copertura». Subito dopo lei e il capogruppo alla Camera Scotto rincarano: l’esito del referendum «è da considerarsi anche la bocciatura di un metodo di governo basato su imposizioni al Parlamento». Fa muro anche Forza Italia: «Sono ipotesi impraticabili», tagliano corto i capigruppo Romani e Brunetta. La Lega è anche più ferma: «Andiamo avanti con gli emendamenti al testo. Renzi doveva pensarci prima». Dopo il colloquio serale il Quirinale si limita a una nota in cui conferma di aver chiesto a Renzi di «soprassedere alle dimissioni» fino all’approvazione della manovra. Ma quando oggi si arriverà a fissare il calendario dei lavori nell’aula rediviva di palazzo Madama può succedere di tutto.

Lo scontro sulla legge di bilancio è un assaggio di quello che si prepara sulla prosecuzione della legislatura. Mattarella mira a portarla a scadenza naturale o quasi, con le elezioni all’inizio del 2018. Vuole pertanto un governo politico, sostenuto dall’attuale maggioranza. Renzi invece ha fretta. Alfano, dopo averci parlato ieri pomeriggio, annuncia di fatto la scelta più estrema: «Scommetterei che si voterà a febbraio con le leggi elettorali che già ci sono, una maggioranza può decidere che non ha senso proseguire». È una sfida frontale che fa passare quasi in secondo piano il classico totopremier. I nomi in ballo, per un governo che forse non nascerà mai, sono quelli del ministro Padoan, che ieri si è sentito al telefono con l’amico Schäuble, del presidente del senato Grasso o di un ministro fidato che garantirebbe a Renzi l’ultima parola sulla sopravvivenza della legislatura, come Delrio o Gentiloni. Sempre che Renzi non abbia già deciso di suonare subito la campana a morto.

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