by Daniela Preziosi, il manifesto | 4 Dicembre 2016 9:52
Ma il presidente della Puglia è duro: «spaccare in due il Paese senza che ve ne fosse alcun bisogno è un errore che andrà subito rimediato a partire dal 5 dicembre».
Ci sono i ’pontieri’ di sinistra: a Cagliari Massimo Zedda e a Milano Giuliano Pisapia, a Genova Marco Doria e a Palermo Leoluca Orlando. I primi due non sono schierati sul referendum ma appartengono alla tendenza Sì; i secondi due stanno con il No ma senza drammatizzare lo scontro nelle loro maggioranze (dove sono in minoranza). Poi ci sono gli intransigenti: il sindaco di Napoli ’Giggino’ De Magistris e il presidente della Puglia Michele Emiliano, del Pd: due ultras del No con alternanti rapporti con il M5S. Entrambi pronti «a costruire un’alternativa al modo di fare politica del governo Renzi» non con un movimento ma «attraverso l’amministrazione quotidiana». Tutti, dai più moderati ai più combattivi, sono amministratori o ex, uniti da una convinzione: comunque vada il referendum da domani c’è un paese da ricucire. E a questo hanno lavorato sin dall’inizio della campagna referendaria. Con discrezione.
Dopo il voto il primo atto si compirà a Roma il 18 dicembre. È convocata l’assemblea della sinistra degli amministratori, quelli che governano i loro territori in coalizione e vedono come fumo negli occhi l’aumento della distanza con il Pd, inevitabile nel corso della campagna. Oltre a Zedda, Pisapia e Doria ci sarà anche il sindaco di Rieti Simone Petrangeli e quello di Latina Damiano Coletta, tutti convocati dal vicepresidente della Regione Lazio Smeriglio e dal deputato Ciccio Ferrara. Non ci sarà De Magistris, che però con quest’area dialoga, pur avendo smentito ambizioni politiche nazionali. Non ci sarà neanche Emiliano, visto che è del Pd: ma da ieri sul suo profilo facebook campeggia un giudizio molto duro su chi ha utilizzato la Costituzione per «spaccare in due il Paese senza che ve ne fosse alcun bisogno», «un errore che andrà subito rimediato a partire dal 5 dicembre».
Oggi al voto vanno i 7.998 comuni. Per recuperare voti al Sì Renzi ha provato a mobilitare i sindaci dem. Fra loro pensava di vincere facile: è uno di loro, quello che in poco è arrivato in cima. La spinta dei primi cittadini nei comuni medio-piccoli potrebbe essere determinante. Ma che anche fra questi amministratori l’entusiasmo per la riforma Boschi non è alle stelle. Il premier l’ha capito il 13 ottobre a Bari, all’assemblea dell’Anci. Alla promessa di finanziamenti per le periferie già a gennaio 2017 si aspettava un’ovazione. Che non è arrivata. E anche applausi più convinti alle parole «Se per la prima volta c’è un sindaco alla guida del governo non è riconoscimento ad una persona ma ad una funzione». Anzi: in platea le telecamere sono rimaste incollate sui ’nemici’ Raggi e De Magistris. Prima di lui era intervenuto un fan del Sì, Antonio De Caro, il renzianissimo sindaco della città pugliese che poi Renzi ha voluto alla Leopolda: ma non ha neanche la metà del carisma del suo predecessore Emiliano. E proprio dall’Anci Puglia ieri è partito l’ultimo siluro contro il governo: la notizia di una circolare «recapitata a tutti i Comuni a poche ore dell’apertura dei seggi» nella quale il ministero degli interni comunica che ridurrà «del 60 per le risorse destinate a sostenere le spese organizzative della consultazione». Un pasticcio firmato Angelino Alfano. Che si smentisce di corsa. Ma per le casse indebitate dei comuni è un rischio: c’è da fidarsi?Renzi benedice Pisapia e Zedda, degli altri si fida meno. Ma comunque vada il referendum il tema di un’area di sinistra che possa ricucire gli strappi potrebbe tornare utile alle prossime politiche. Naturalmente molto del successo del fronte dei sindaci dipenderà dal risultato di oggi. Che sarà un effetto collaterale della sconfitta del Pd alle amministrative: nelle città dove hanno vinto le due sindache a 5 stelle, Torino e Roma (Chiara Appendino e Virginia Raggi) il No è in vantaggio. Lo stesso succede al Sud, da Roma in giù verso il parallelo Bari-Napoli.
La mossa rischia di vanificare, almeno in parte, la caccia ai consensi che Renzi ha condotto negli scorsi mesi. Agenti speciali il ministro Delrio e il sottosegretario Rughetti. Due mesi fa sono stati incaricati di mettere in piedi il comitato «Basta un Sì-ndaco». Hanno aderito 1100 primi cittadini ma alla fine l’evento organizzato nelle piazze lo scorso 29 novembre è stato modesto. E i sindaci hanno dovuto parteciparvi da privati cittadini, senza fascia tricolore: erano stati diffidati dai comitati del No in base alla legge che durante la campagna referendaria vieta «a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni». «Inutili futili polemiche», ha replicato Rughetti.
Renzi nei territori ha comunque ben altre risorse: i signori dei voti, che infatti sono stati attivati. Il caso del governatore campano De Luca è noto: in un’assemblea con i sindaci della regione ha comunicato il «fiume di soldi» promesso dal governo e invitato a raccogliere voti senza andare per il sottile. Indimenticabile la frase rivolta a Franco Alfieri, sindaco di Agropoli: «Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu». Meno nota, meno colorita, ma simile è stata l’iniziativa del governatore abruzzese Luciano D’Alfonso una settimana fa: «In questi ultimi sette giorni vi voglio chiedere di scatenarvi, voglio parlare alle vostre mogli invitando anche loro a scatenarsi. Deve aumentare la quantità di vostre iniziative, anche frontali. Quando siete candidati voi, ogni minuto è dedicato alla campagna elettorale. Deve scattare questo». La denuncia è arrivata dall’ex consigliere Maurizio Acerbo (Prc): «Il presidente usa la sua carica per condizionare l’orientamento dei sindaci che in caso di scarso risultato del Sì potrebbero temere ritorsioni in termini di finanziamenti».
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