Rapporto Censis. Sanità sempre più costosa: 11 milioni rinunciano alle cure
Gli effetti regressivi delle manovre di contenimento, e di taglio alla spesa sociale, hanno indotto 11 milioni di italiani a rinunciare, o rinviare, nel 2016 alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche. Il dato, impressionante, viene riportato anche nel cinquantesimo rapporto Censis.
Gli effetti dell’austerità si riflettono anche nelle infrastrutture ospedaliere la cui offerta si riduce da anni, a cominciare dai posti letto (3,3 per 1.000 abitanti in Italia nel 2013 secondo i dati Eurostat, contro i 5,2 in media dei 28 Paesi Ue, gli 8,2 della Germania e i 6,3 della Francia).
Obsolescenza delle strutture, file d’attesa lunghe mesi anche per esami decisivi, chiusure delle strutture pubbliche. L’insieme di questi fattori ha portato a un nuovo boom della sanità privata. La spesa per curarsi fuori dal pubblico è tornata ad aumentare negli ultimi due anni (+2,4% dal 2014 al 2015), e ha raggiunto nel 2015 i 34,8 miliardi di euro. Poco meno del 24% della spesa sanitaria totale va ai privati, annota il Censis.
Aumenta anche la compartecipazione dei cittadini alla spesa: +32,4% in termini reali dal 2009 al 2015 (con un incremento più consistente della compartecipazione alla spesa farmaceutica: 2,9 miliardi, +74,4%).
Leggere questo rapporto nel giorno in cui la maggioranza dei sindacati dei medici hanno dichiarato uno sciopero generale il prossimo 16 dicembre riporta l’attenzione sulle conseguenze dei tagli sul personale medico e infermieristico. L’accordo del pubblico impiego, siglato tra il governo e i sindacati confederali, non ha per nulla soddisfatto le associazioni professionali, anche quelle della sanità.
«Un topolino di incremento retributivo, pari al costo di due caffè al giorno, che nascerà dalla montagna del fondo per il pubblico impiego non può essere considerato il finanziamento del Ccnl. Tanto più se il governo non ferma lo scippo delle loro risorse contrattuali, a opera di Regioni ed Aziende – scrivono in una nota intersindacale Anaao Assomed, Cimo, Aaroi-Emac, Fvm, Fassid (Aipac-Aupi-Simet-Sinafo-Snr), Fesmed, Anpo-Ascoti-Fials Medici – Se poi tale incremento è destinato, per dirla con il premier, a valorizzare il merito, vuol dire che il nostro, per lui, tanto vale. Di fatto si proroga, solo per noi, un blocco retributivo in vigore da 7 anni, a onta della sentenza della Corte costituzionale».
I tagli hanno provocato, da un lato, il blocco del turn-over che ha imposto di non sostituire i medici in pensione; dall’altro lato, hanno dato origine a un’emigrazione all’estero dei giovani, e meno giovani, professionisti. Un rapporto Anaao Assomed sostiene che nel Regno Unito, secondo i dati del General Medical Council, i medici italiani che prestano servizio sono più di 3 mila. Oramai siamo a circa 1000 laureati o specialisti che emigrano ogni anno. Altre destinazioni: Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Svizzera, Stati Uniti. Nei prossimi dieci anni si prevedono oltre 80 mila pensionamenti attesi e il sistema sanitario pubblico rischia di trovarsi senza gli specialisti. Sono 7.280 solo quelli ospedalieri che possono essere rimpiazzati a causa dell’austerità.
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