by Luca Fazio, il manifesto | 2 Novembre 2016 8:36
A pensarci prima, questa è la strada giusta. A metà di via Caracciolo, a cento metri dalla caserma Montello che da ieri ospita ottanta profughi, in un angolo che i milanesi non possono non aver notato, da anni resiste una grande scritta che nessuno ha avuto il coraggio di cancellare: “E’ sull’orlo del precipizio che l’equilibrio è massimo”. Quell’assalto poetico oggi si spiega in tutta la sua confortante semplicità e il significato vale per tutti quelli che ancora ci vogliono credere, anche sfidando le leggi della fisica (e della politica): per mantenere l’equilibrio, quando la situazione sta precipitando, bisogna muoversi. Sempre, anche se lo sforzo sembra inutile. Essere dove le cose accadono, metterci la faccia, non avere paura, rischiare grosso. Anche di perdere. Non era scontato che andasse a finire così, anche se la vicenda della caserma Montello è appena cominciata. Fino alla fine del 2017 quel luogo darà ospitalità a circa trecento richiedenti asilo.
Sono mesi che fascisti e leghisti cercano di provocare l’incidente per far precipitare la situazione. Ci hanno provato anche l’altra sera, fumogeni, rabbia, bandiere di Casa Pound e canzoncine da stadio. Il più moderato è l’ex sindaco di Milano Riccardo De Corato. Un fratello d’Italia. Volevano il fuoco, sapendo che sarebbe bastato il fumo di un copertone, sognavano le barricate come nel ferrarese, hanno orchestrato solo desolanti siparietti di varia disumanità coinvolgendo pochi razzisti del quartiere. Osceni. Ripetere lo schifo di Goro qui a Milano per qualcuno sarebbe stato un capolavoro, per ora non ci sono riusciti. Nelle prossime settimane però non sarà facile restare in equilibrio di fronte ad argomenti come questi: “Certo che ho paura, guardi che violentano pure le vecchiette come me!”.
Gli africani disorientati che verso l’una di ieri sono scesi in via Caracciolo per prendersi i primi abbracci sono stati protagonisti di un film molto diverso, una prima assoluta per Milano e anche per l’Italia: c’era una vera festa organizzata da un comitato d’accoglienza così composito che c’era qualcuno che era quasi imbarazzato di trovarsi così a suo agio vicino a questo o quel soggetto con cui di solito ci si guarda in cagnesco (a sinistra, ultimamente, ci si frequenta poco e ci si sorride ancora meno). Nel corso della giornata migliaia e migliaia di persone.
Organizzazioni e associazioni della sinistra più o meno apocalittica o integrata, cattolici, antirazzisti storici, molti ventenni (un’altra prima assoluta) insieme a reduci di mille battaglie perse con in braccio i bambini, rappresentanti in “borghese” di Palazzo Marino, sindacati, centri sociali, “cazzo anche i giovani del Pd!” (ci sono…), musicisti soliti e giovani rapper di periferia, profumo di cous-cous e risotti che finiscono subito, mamme variamente associate e anche la squadra di calcio dei rifugiati Black Panthers. I cronisti dei giornali che contano sono così rilassati che non sembrano neanche al lavoro. I preti più social ridono, poliziotti e carabinieri è come se non ci fossero. Il sole fa il resto. Ci sono militanti solitamente ingrugniti e assessori finalmente rilassati che si sfiorano sorridendo per complimentarsi a vicenda. E diciamolo: “Questa è Milano…” L’auto esaltazione è generale e va bene, ma tutti sanno che sull’orlo del precipizio non funziona sempre così.
La giornata del primo novembre è destinata a restare negli annali dell’antirazzismo milanese (da applausi il lavoro svolto dal comitato Zona 8 Solidale). E adesso? Toccherà attrezzarsi per dimostrare che un’altra accoglienza è possibile, e lavorare insieme per inventarsi il primo centro di accoglienza aperto e condiviso da tutta la cittadinanza. Ci deve credere il governo, ci devono credere Palazzo Marino, la prefettura, il comitato di zona e gli antirazzisti che ieri hanno preso un impegno prendendoci gusto. Perché intorno alla caserma Montello potrebbe non essere sempre festa.
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