by Sara Gandolfi, Corriere della Sera | 28 Novembre 2016 9:24
L’AVANA I ragazzi del Malecón da due giorni sono a bocca asciutta. Vietato vendere alcolici in tutta Cuba per i nove giorni del lutto nazionale durante i quali l’isola dirà addio al suo Comandante, con una lunga e lenta processione funebre attraverso il Paese. Nessuno spettacolo, niente musica, anche il tenore Placido Domingo ha cancellato concerto. Annullate le partite di baseball, club e discoteche con le saracinesche abbassate. Si sentiranno solo le salve di cannone, 21 in tutto, sparate in contemporanea all’Avana e a Santiago. «Va bene, ci sta. Dobbiamo un po’ di rispetto al padre della rivoluzione. Ma allora perché in centro i turisti continuano a bere?», sbotta Miriam, seduta sul muretto di calle 23, nel sabato sera più triste della sua breve vita.
Già dal mattino, ieri, la Bodeguita del Medio era piena di turisti. Tutti stranieri, nessun cubano spenderebbe 5 cuc per un Cuba libre. «Se ci dicono di smettere di servire il rum, lo facciamo subito. Finora, nessuna indicazione», assicura il barista dietro al banco che tanto piaceva a Hemingway.
Il centro brulica di vita e souvenirs, il resto dell’Avana è una città silenziosa, insolitamente calma, sospesa. La tv da venerdì notte trasmette solo storie sul «padre della rivoluzione», perlopiù immagini in bianco e nero, con un baldanzoso Comandante barbuto, che trionfa all’Avana, tiene in scacco il gigante Usa, arringa il mondo dal palco dell’Onu. Eppure nessun canale informativo di regime racconta come è morto, dove è successo o chi c’era fra i suoi cari alla cremazione, a poche ore dalla morte. Nessuno chiede, nessuno spiega. La normalità di un regime.
Sulla spianata di Plaza de la Revolución José Marti hanno sistemato le transenne e il palco da cui martedì sono attese le parole di Raúl Castro, il fratello minore che non sarà mai «líder máximo», l’«orfano» cui ora più che mai è affidata l’eredità di Fidel e il futuro dell’isola. Il taxista Rognit dà voce all’emozione di tanti: «Fidel comandava, ordinava e condannava. Era solo al comando, nel bene e nel male, ma era un uomo superiore. Ora Cuba ha un presidente, Raúl, ma non ha più un leader».
Fidelisti come Rognit sono attesi a migliaia oggi e domani per l’ultimo omaggio sulla piazza voluta dal dittatore Fulgencio Batista e diventata poi il grande palcoscenico teatrale dei «barbudos» che lo rovesciarono: da qui Fidel, quando ancora portava la divisa verde oliva, arringava la folla, da qui sono passate le parate del 1° maggio, le adunate in stile sovietico del PCC, ma anche le messe di Papa Giovanni Paolo II e di Francesco. Tra meno di una settimana, il 2 dicembre, erano previste le celebrazioni per il 60° anniversario dell’avventura del Granma, la nave da cui sbarcarono gli uomini che avrebbero acceso la miccia della rivoluzione. Cancellate anche quelle, la parata militare si farà in gennaio. Un giovane sulla piazza si lascia scappare la sua paura: «In Usa si starà insediando Trump, soffiano venti di guerra fredda».
Ora c’è altro a cui pensare. La salma di Fidel, come da lui richiesto, è stata cremata. Oggi inizia il «funerale del popolo». L’urna con le ceneri viene esposta al mausoleo di José Marti, la gente in coda per firmare i registri e salutare l’eroe. Perfino gli oppositori, in questi giorni, evitano polemiche pubbliche. Le «damas de blanco», le donne che imperturbabili ogni domenica protestano contro gli arresti arbitrari del regime, ieri per la prima volta non sono scese in piazza. Rispetto al nemico? «Non ci rallegriamo per la morte di un essere umano, ma celebriamo la morte di un dittatore», hanno dichiarato all’ Afp .
Domani ci sarà l’atto politico in Plaza de la Revolución, sotto le gigantesche effigie del Che Guevara e di Camilo Cienfuegos, i due compagni di lotta che hanno lasciato Fidel solo al comando. Troppo presto, secondo alcuni. Dopo le parole di rito, mercoledì partirà la lunga e lenta processione per riportare «a casa» Fidel, là da dove tutto è partito. La teca con le sue ceneri attraverserà per quattro giorni l’isola, da un capo all’altro, fino all’estremità orientale: 900 km di strade spesso sconnesse per arrivare a Santiago de Cuba, la culla della rivoluzione, dove il 4 dicembre Fidel sarà finalmente sepolto a Sant’Ifigenia, il cimitero dei padri della patria, accanto al leader della lotta per l’indipendenza, José Marti, e al musicista Compay Segundo, uno dei super-nonni del Buena Vista Social Club.
La strada a ritroso che nel 1959 portò quel giovane avvocato ribelle dalle montagne della Sierra Maestra alla conquista dell’Avana. Allora guidava un’armata di «barbudos» che seppe conquistarsi il favore del popolo stufo del giogo dei Batista, ora lo stesso popolo dovrà rendere l’ultimo omaggio «al compagno Fidel», come invitano a fare i media di regime.
Sara Gandolfi
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