CASTRO ha visto sfilare undici presidenti statunitensi nel corso della sua leadership: da Dwight D. Eisenhower in poi (va tenuto anche conto delle doppie presidenze di Reagan, Clinton, Bush junior e Obama). Barack Obama, nel suo recente viaggio a Cuba, ha dovuto riconoscere che la politica a stelle e strisce contro l’isola «è stata fallimentare». Ecco perché Castro appartiene ai nomi stampati sulle enciclopedie. Su di lui si può pensare tutto il male o il bene possibile, resta il fatto che ha attraversato incolume oltre 60 anni di storia contemporanea.
Fidel è stato pure tra i principali leader del Movimento dei paesi non allineati e ha incontrato innumerevoli personaggi che appartengono alla storia del XX secolo: Nikita Krusciov, Leonid Breznev, il maresciallo jugoslavo Tito, Salvador Allende, Malcom X, Indira Gandhi, Nelson Mandela, Yasser Arafat, Hugo Chávez, i dirigenti del Fronte sandinista del Nicaragua, gli esponenti dei movimenti progressisti dell’Africa e dell’America Latina, tanti intellettuali a iniziare da Ernest Hemingway che visse a Cuba fino ai primi mesi del 1960, fino a Gabriel García Márquez ed Eduardo Galeano.
OLTRE all’indubbio record della longevità politica, Fidel deteneva il guinness dei primati per il discorso più lungo della storia: il 24 febbraio 1998, un intervento di sette ore e quindici minuti di fronte al Parlamento cubano. Il terzo record è quello degli attentati contro di lui. Dopo il 1989, sono stati resi pubblici alcuni documenti della Cia: dalla loro lettura si apprende che i piani per eliminare fisicamente il leader cubano sono stati ben 637 dal 1959 in poi.
Era nato 13 agosto 1926 da Lina Ruz González e Ángel Castro y Argiz, proprietario terriero del podere Manacas a Birán nella zona orientale di Cuba. In ossequio alle origini sociali di buona famiglia, Fidel è educato nei collegi La Salle e Dolores di Santiago e poi nella rinomata scuola privata gestita dai gesuiti di Belén a L’Avana, dove si diploma nel 1945. In quell’anno si immatricola presso la Facoltà di Giurisprudenza. Nel 1947 aderisce al Partito ortodosso, formazione politica d’ispirazione democratica e nazionalista diretta da Eduardo Chibás. Castro appare negli anni universitari più attratto da posizioni nazionaliste e dal pensiero indipendentista di José Martí che da riferimenti marxisti. Nel 1950, dopo la laurea a pieni voti, inizia l’attività di avvocato.
Alle elezioni parlamentari del 1952 si candida tra le fila del Partito ortodosso. Il 10 marzo il golpe di Fulgencio Batista annulla la competizione elettorale e Castro si convince della necessità di intraprendere la lotta armata. Il 26 luglio 1953 è la data che avvia la rivoluzione cubana. Fidel e 165 militanti del Movimento 26 luglio – fondato da lui stesso – decidono di dare l’assalto alla caserma Moncada. L’iniziativa fallisce, in 29 sono assassinati. Castro è arrestato assieme al fratello Raúl e ad altri militanti. Nel processo, il leader del Movimento 26 luglio pronuncia da solo l’arringa difensiva diventata famosa con il titolo «La storia mi assolverà».
FIDEL e i militanti del suo movimento sono scarcerati il 15 maggio 1955. Castro si trasferisce a Città del Messico dopo un viaggio negli Stati uniti che serve a raccogliere fondi per il Movimento 26 luglio presso la comunità cubana. E’ in Messico che incontra per la prima volta Ernesto Che Guevara. Il 25 novembre 1956, a bordo della piccola imbarcazione Granma, 82 uomini (tra cui l’italiano Gino Donè) partono alla volta di Cuba. Solo in 15 sopravvivono ai primi scontri con l’esercito batistiano, ma saranno appena 12 coloro che si uniranno a Castro. Il braccio di ferro con l’esercito dura fino al 2 gennaio 1959, quando Guevara e Camilo Cienfuegos fanno il loro ingresso trionfale a L’Avana.
La rivoluzione radicalizza il suo programma già nei primi mesi del 1959. La scelta di una via «socialista» per la rivoluzione cubana è però annunciata da Fidel solo nell’aprile del 1961, alla vigilia del fallito tentativo di invasione mercenaria di Cuba finanziata dagli Stati uniti (quella che va sotto il nome di «Baia dei porci»). Nell’ottobre 1962 scoppia la «crisi dei missili». Il 14 ottobre un aereo spia di Washington fotografa una serie di basi missilistiche dotate di ordigni nucleari che i sovietici stanno costruendo a Cuba. Il presidente Kennedy intima l’ultimatum a cubani e sovietici: quelle basi vanno smantellate. Krusciov, da Mosca, ordina l’alt alle operazioni.
In queste prime fasi della rivoluzione è Ernesto Guevara ad assumere il ruolo di colui che acuisce il dibattito e chiede una scelta netta tra opzioni politiche differenti. Castro si limita a seguirne la scia, a rafforzare il suo ruolo di leader alternando prudenza e radicalità. Guevara lascia ufficialmente Cuba nel 1965. E’ probabile che fino alla decisione di organizzare la guerriglia in Bolivia guidata da Guevara ci sia una divisione di compiti tra Castro e il Che: il primo farà lo statista in patria con l’obiettivo di istituzionalizzare la rivoluzione, il secondo si assume la responsabilità di far uscire Cuba dall’isolamento in America latina, condizione per liberarsi dall’abbraccio soffocante con l’Unione sovietica di cui proprio il Che ha intuito il destino. La morte di Guevara nel 1967 in Bolivia fa ripiegare Cuba che si allinea all’Urss.
In piena stagione della perestroijka Mikhail Gorbaciov arriva con la moglie Raissa in visita ufficiale a L’Avana il 2 aprile 1989: il dissenso con Fidel è palese. Abbondano le previsioni su un «Fidel solitario e sconfitto». Ma lo sconfitto sarà Gorbaciov, non lui. L’Avana tenta in quella fase un ritorno alle origini della rivoluzione ma deve aprire al turismo e alle riforme economiche.
Tad Szlulc, K. S. Karol e Saverio Tutino, tra gli studiosi più documentati su Cuba, hanno individuato giustamente fin dagli anni Settanta nel centralismo onnivoro di Fidel il limite maggiore dell’avventura politica dell’Avana. Per alcuni decenni il suo dominio sulla politica cubana è stato assoluto: presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei ministri, primo segretario del Partito comunista, comandante in capo delle Forze armate di terra, della Marina e dell’Aviazione.
Nei discorsi degli ultimi anni, Fidel ha insistito pedagogicamente sulla certezza che Cuba non piegherà la testa perché il suo popolo ha acquisito una «profonda coscienza di sé e l’orgoglio dell’indipendenza». Da qui la diffidenza dell’ultimo Fidel verso le diseguaglianze sociali indotte dall’economia mista introdotta nell’isola e dallo sviluppo del turismo. Ma la lealtà verso le riforme avviate dal fratello Raúl è stata totale.
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