Referendum. La grande finanza catastrofista: «Se vince il No Italia fuori dall’euro»

by Antonio Sciotto, il manifesto | 22 Novembre 2016 8:51

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Il giornale Usa ipotizza un crollo degli indici europei nel caso di un governo dei Cinquestelle. E a mercati chiusi si aggiunge anche Goldman Sachs

A meno di due settimane dal referendum costituzionale a infiammarsi sono gli ambienti della grande finanza: non ancora le borse, ma scendono in campo due «bibbie» del capitalismo al di qua e al di là dell’Atlantico, il Financial Times e ilWall Street Journal. Entrambi i quotidiani, con toni diversi, auspicano la vittoria del Sì e disegnano scenari negativi in caso che a prevalere fosse il No. Allarme ripetuto a mercati ormai chiusi anche dalla banca d’affari Usa Goldman Sachs.

Nelle pagine interne del giornale inglese, il condirettore Wolfgang Munchau vaticina addirittura la possibilità che l’Italia lasci l’euro se dovesse vincere il No. Questo perché, spiega, il nostro Paese si metterebbe sulla stessa scia dei populismi che hanno già vinto in Gran Bretagna e negli Usa con la Brexit e l’elezione di Donald Trump a presidente.

Scenario che diventerebbe ancor più catastrofico nel 2017, in caso che Marie Le Pen riuscisse a conquistare l’Eliseo: «la signora Le Pen – scrive Munchau – ha promesso un referendum sul futuro della Francia nella Ue. Se questo dovesse portare alla “Frexit” (analogo della Brexit, ndr), l’Unione europea sarebbe finita il giorno dopo e così l’euro».

Ma prima delle presidenziali francesi c’è appunto il 4 dicembre italiano, e il Financial Times vede nell’appuntamento italiano il problema più urgente: la previsione più concreta per Munchau «resta non un collasso della Ue o dell’euro ma un’uscita di uno o più Paesi, verosimilmente l’Italia, ma non la Francia». Il nostro Paese è infatti quello che ha subito più danni dalla moneta unica: «Da quando l’Italia nel 1999 è entrata nell’euro la sua produttività totale è stata di circa il 5%, mentre Germania e Francia hanno superato il 10%», spiega Munchau, e inoltre i tre principali partiti di opposizione al governo Renzi, e cioè Cinquestelle, Forza Italia e Lega, sono tutti a favore, seppur in modo diverso, dell’uscita dall’euro.

Il Wall Street Journal illustra i suoi scenari post referendum addirittura in prima pagina: dopo la Brexit e la vittoria di Trump, se alle consultazioni italiane prevalesse il No si avrebbe un immediato indebolimento dell’euro e un crollo dei titoli bancari italiani. Successivamente, in caso di caduta del governo Renzi, per assicurare la stabilità e non spaventare i mercati sarebbe auspicabile «un governo tecnico». Ben diverso sarebbe lo scenario, secondo il quotidiano Usa, se invece a Palazzo Chigi arrivassero il Cinquestelle.

«Sono un partito antiestablishment – spiega il Wsj riferendosi all’M5S – Puntano a rinegoziare il debito italiano e a indire un referendum sull’euro, destabilizzando tutto il sud Europa». Nel caso che arrivassero al governo, secondo il Wsj – che cita a sostegno uno studio di Deutsche Bank – potrebbero «far crollare del 20% i principali indici europei».

Incertezze ribadite da Goldman Sachs, secondo la quale il referendum italiano costituisce «un rischio materiale per le previsioni di crescita». Nel suo outlook sull’Europa, la banca d’affari statunitense afferma che «una vittoria del No ostacolerebbe gli sforzi per ricapitalizzare le banche italiane più deboli, un processo che è già stato con ogni probabilità posticipato al 2017». In Italia la crescita comunque «è rimasta costante nonostante l’aumentata incertezza con l’approssimarsi del referendum di dicembre», con la previsione che prosegua «a un tasso di circa lo 0,8% annuo» sia nel 2017 sia nel 2018.

Da parte del governo si cerca di smorzare l’allarme lanciato dai quotidiani finanziari, probabilmente anche per non subire l’«abbraccio fatale» da quegli ambienti dell’establishment che nelle ultime elezioni (dalla Brexit a Trump appunto) non hanno portato fortuna agli «endorsati»: per il ministro della Cultura Dario Franceschini, gli scenari ipotizzati dal Financial Times sono «una cosa totalmente esagerata e non fondata». Arturo Scotto (Si) parla di «terrorismo per il Sì» e chiede una posizione netta da parte del governo. Per il Comitato del No «si indicano possibili affari per gli speculatori».

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