Un numero shock gira tra i corridoi del Viminale: 170mila. Sono i migranti sbarcati quest’anno sulle nostre coste. «Un record. Abbiamo bruciato il primato del 2014 con oltre un mese d’anticipo. Non ce l’aspettavamo: l’onda grossa è proseguita anche con l’arrivo dell’autunno ». I tecnici del ministero non nascondono la preoccupazione: gli sbarchi e le tragedie in mare non si fermano. La macchina dell’accoglienza è sotto stress: a fine anno si prevede di raggiungere la cifra di 200mila migranti ospitati. Mai così tanti nel nostro Paese. E c’è un altro dato a fare ancora più paura: quello dei minori stranieri non accompagnati. Un esercito di ragazzini quest’anno: già 22.772, quasi il doppio di quanti arrivati nell’intero 2015.
Al ministero dell’Interno si controllano gli ultimi numeri. Quelli ufficiali, aggiornati al 17 novembre, parlano di 167.276 migranti sbarcati nel 2016: il 16,49% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e 9mila persone in più rispetto allo stesso periodo del 2014, anno che segnò con i suoi 170mila arrivi un record di sbarchi. «Ma calcolando gli ultimi salvataggi in mare, possiamo aggiornare il dato degli arrivi 2016 a 170mila. Insomma – ragionano al Viminale – abbiamo battuto il record negativo del 2014 e pensare che manca più di un mese alla fine dell’anno ». Neppure la conta delle vittime rallenta. A dare il bilancio provvisorio dell’ultimo naufragio ieri a largo della Libia è Medici senza frontiere: 7 morti e 96 dispersi. «Il problema – confidano i tecnici del ministero – è che ormai in Paesi come Niger, Sudan, Libia sul business dei migranti campano in tanti e non solo i trafficanti: ci sono quelli che affittano il loro camion per il trasporto, quelli che offrono la propria casa come centro di raccolta. Difficile scardinare questi meccanismi».
I porti più sotto pressione sono sempre quelli di Augusta e Pozzallo, con 22.096 e 16.405 arrivi rispettivamente. Ma ci sono anche nuovi fronti, dove i numeri restano bassi, ma gli sbarchi si ripetono. È il caso del Sulcis: gruppi di algerini continuano infatti ad arrivare sulla costa sud-occidentale della Sardegna. Dall’inizio dell’anno sono oltre settecento. La tecnica sempre la stessa: giungono a bordo di grosse imbarcazioni fino a poche centinaia di metri dalla riva e poi coprono l’ultimo tratto su dei barchini.
Ma chi è che arriva oggi sulle nostre coste? Pochissimi i siriani, quasi tutti sono africani: da Nigeria (21% degli arrivi), Eritrea (12%), Guinea (7%), Gambia (7%), Costa d’Avorio (7%), Senegal (5%), Sudan (5%). E anche chi non otterrà l’asilo, difficilmente potrà essere rimpatriato. L’Italia infatti ha pochi accordi di riammissione: i più importanti con Tunisia, Nigeria, Egitto, Marocco e Sudan (quest’ultimo è un accordo di polizia). E senza accordi non ci sono rimpatri. Non solo. Con la chiusura di gran parte delle frontiere europee, l’Italia si sta trasformando da Paese corridoio a una “trappola” per tanti migranti che vorrebbero raggiungere il Nord Europa. Né certo aiuta la macchina inceppata dei ricollocamenti: il piano prevedeva 40mila profughi in Italia (24mila) e Grecia (16mila) da ricollocare in due anni. Com’è andata? Finora l’Italia è riuscita a trasferire solo 1.318 migranti.
Da qui i numeri dell’accoglienza: sono ben 175.188 i profughi oggi ospitati nei centri governativi e nelle strutture temporanee. Nel 2015 non avevano superato i 103mila. Lombardia (23mila), Lazio (15mila), Sicilia, Veneto, Campania e Piemonte (oltre 14mila ciascuna), le regioni che accolgono di più. E l’emergenza rischia di aggravarsi: come ha reso noto dal capo dipartimento immigrazione del Viminale, Mario Morcone, in Commissione diritti umani al Senato, «viaggiamo verso le 200mila persone: un numero che se fosse supportato dagli 8mila sindaci non creerebbe problemi sul territorio ». Peccato che oggi sono solo 2.600 i comuni che accolgono. Eppure un nuovo Piano nazionale d’accoglienza c’è: siglato tra Viminale e Anci, prevede la distribuzione in tutti i comuni di 2,5 migranti ogni mille abitanti. I sindaci otterrebbero 500 euro per ogni profugo ospitato. Insomma un’accoglienza diffusa che eviterebbe concentrazioni pericolose. «Ma per evitare polemiche politiche – confidano al ministero – è tutto congelato fino al referendum costituzionale».
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