L’Italia si astiene sul bilancio europeo del 2017

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Bisognerà vedere, a urne chiuse, come la Ue prenderà la nuova spesa di 730 milioni che Renzi, nella sua sempre più affannosa caccia al voto perduto, ha promesso per la decontribuzione totale a favore delle aziende che assumeranno al Sud l’anno prossimo

Come previsto Consiglio e Parlamento europei hanno approvato nella notte il bilancio europeo per il 2017. Come previsto l’Italia si è astenuta, ed è la prima volta che capita nella storia dell’Unione. Una mossa in realtà calibrata: il bilancio annuale non richiede unanimità e la stragrande maggioranza dei Paesi, tutti tranne due, era favorevole, dunque anche un voto contrario italiano avrebbe avuto valore solo di testimonianza. L’astensione conferma la linea dura del governo Renzi e corrobora la minaccia di votare contro il bilancio pluriennale, dove invece l’unanimità è d’obbligo, ma senza calcare troppo la mano.
Progetto ambizioso ma forse un po’ troppo sfrontato per funzionare: non si può essere insieme la versione tricolore di Donald Trump e il vessillo della resistenza all’onda che ha portato Trump al trionfo. Anche se Renzi fa quel che può per tenersi in equilibrio, «Obama è stato un gigante, ma Trump è il presidente eletto».La scelta dell’astensione è giustificata dall’accettazione di alcune delle richieste di modifica italiane, in particolare quella sullo stanziamento di 700 milioni di euro aggiuntivi per l’Erasmus e per Progetto giovani. «Passi avanti, ma non sufficienti», commenta il sottosegretario Sandro Gozi che ripete la minaccia ormai quotidiana: «Manteniamo il veto sul bilancio complessivo e a dicembre valuteremo». In realtà si tratta di «riserva» e non di «veto» ma il termine bellicoso serve a foraggiare la campagna elettorale nella quale Matteo Renzi ha scelto di cavalcare l’euroscetticismo. L’idea sarebbe quella di occupare l’intera scacchiera presentandosi sia come forza di governo da sostenere in nome della stabilità sia come forza anti-sistema da irrobustire in nome della trasformazione radicale.

Per l’ormai celebre «veto italiano» l’ora della verità non arriverà neppure a dicembre. La trattativa, anche qualora l’Italia confermasse il suo niet, resterà lunga. Neppure per quello che è il vero tavolo principale, il verdetto sulla legge di bilancio italiana, dicembre rappresenta l’ultima frontiera. Non solo c’è tempo sino a gennaio, come stabilito dalla riunione del Consiglio d’Europa, ma si potrebbe slittare di nuovo, come l’anno scorso, sino alla primavera. Su quel fronte però dicembre porterà davvero chiarezza. Per ora l’Europa non solo non ha avviato deflagranti procedure d’infrazione, ma non ha neppure reclamato ufficialmente una correzione della manovra. Semplicemente, fino a che non sarà stato celebrato un referendum importante non solo per Roma ma anche per Bruxelles, non lo si può fare. Subito dopo però, comunque sia andata a finire, la strada sarà sgombra e a quel punto tutto lascia pensare che la richiesta arriverà.

Lo lascia capire, anzi di fatto lo annuncia, proprio il commissario all’Economia Moscovici che nelle ultime settimane si è presentato sempre più come il difensore delle buone ragioni italiane. Braccia aperte, anzi spalancate. Consapevolezza del fatto che «una parte della spesa è legata all’arrivo di rifugiati e al terremoto». Disponibilità ad accettare «una ulteriore temporanea deviazione dagli obiettivi». Ma anche così «rimane un divario da colmare per essere in linea col Patto di Stabilità». Bisognerà anche vedere, a urne chiuse, come la Ue prenderà la nuova spesa di 730 milioni che Renzi, nella sua sempre più affannosa caccia al voto perduto, ha promesso per la decontribuzione totale a favore delle aziende che assumeranno al Sud l’anno prossimo. Milioni che ieri il presidente del consiglio ha assicurato essere «già pronti».

I due tavoli si intrecceranno a dicembre, anche se non si sa ancora chi dirigerà la partita italiana. Ieri Renzi ha ripetuto sino a sgolarsi che se gli italiani sceglieranno «la casta» e la palude lui «non resterà a galleggiare». È anche questa campagna elettorale. La lista dei ministri per l’eventuale «governo di scopo», stilata dallo stesso Renzi pur con altro premier «a termine», sarebbe già pronta.

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