Da Atene il monito di Obama “La globalizzazione cambi rotta”

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ATENE. Obama sceglie Atene, «la culla del pensiero occidentale », e una lectio magistralis sulla democrazia per difendere a 360° il bilancio del suo mandato alla Casa Bianca e per punzecchiare con qualche colpo di fioretto, senza mai nominarlo direttamente, Donald Trump. «Io e il presidente eletto non possiamo essere più diversi», ha ammesso nel suo ultimo discorso ufficiale. «Ma la democrazia Usa è più grande delle singole persone. E per questo farò il possibile per garantire una transizione serena». Concetto che non gli ha impedito di mettere qualche puntino sulle “i”: «C’è chi dice che oggi sia più efficiente governare Paesi con governi autoritari (ogni riferimento alla Russia di Vladimir Putin è tutt’altro che casuale, ndr). Io per necessità ho lavorato con tutti, anche con nazioni dove ci sono le elezioni, ma non il diritto al dissenso. I nostri valori ci impongono però di sostenere chi crede nell’autogoverno. Per questo l’Ucraina deve poter decidere del suo destino ». Se non fosse possibile, «sono certo che la Nato, che non è mai stata così forte, risponderà alle richieste di difesa di ogni alleato — ha detto senza troppi giri di parole — come hanno sempre fatto tutti i presidenti, democratici e repubblicani».

Chiuse le partite personali, Obama ha parlato di democrazia con due obiettivi molto pratici: ribadire i risultati dei suoi otto anni nello Studio Ovale e chiedere «una correzione di rotta della globalizzazione». La stella polare del suo mandato — ha ricordato — «sono stati i bisogni dei cittadini e il tentativo di favorire la crescita riducendo le disuguaglianze». I numeri — ha sostenuto — sono lì a dimostrare che si è mosso nella direzione giusta: «Ho tagliato le tasse per la classe media aumentandole ai ricchi, ho creato 15 milioni di posti di lavoro, il reddito nel 2015 è cresciuto al tasso più alto dal ’68 e la povertà è ai minimi», ha snocciolato con precisione ragionieristica. «Ma non solo: ho salvato Detroit obbligando i big dell’auto a fare auto pulite, ho dotato Wall Street di una riforma anti- abusi, ridotto le differenze di stipendio tra uomini e donne e garantito il diritto alla salute di tutti».
Unico problema: tutto ciò non è bastato a far vincere Hillary Clinton. Come mai? «Perché modernizzazione e tecnologia hanno lasciato problemi irrisolti. I lavoratori devono guadagnare di più. È inammissibile che il numero uno di un’azienda incassi in un giorno quello che il suo dipendente prende in un anno. L’educazione deve essere accessibile a tutti e serve una rete sociale per garantire futuro a tutti».
Il no alla globalizzazione — ha riconosciuto — «è comprensibile perché chi vede un domani incerto tende a fare retromarcia ». Ma la risposta giusta non è demonizzarla, ma correggerne le storture: «Viviamo in un mondo connesso, i lavori del futuro saranno diversi da quelli del passato. Dobbiamo guardare avanti, non indietro. La democrazia ci deve guidare verso una crescita equa e inclusiva». Come? «Facendo in modo che i benefici vadano a tutti e non alle multinazionali, che non ci sia chi non paga le tasse o manipola i buchi di mercato. Chiedendo a tutti i paesi standard alti di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale ».
L’Europa — ha concluso — è la prova che il dialogo è la ricetta giusta: «È chiaro che oggi ha dei problemi — ha ammesso — ma l’Unione europea è forse uno degli esempi più straordinari di applicazione della democrazia della storia dell’uomo e ha garantito diversi decenni senza una guerra». Ora è il momento di voltare pagina: «Il mondo non è mai stato così ricco e sicuro come adesso», ha concluso. «Ma dobbiamo imparare ad affrontare tutti insieme temi generali come l’ambiente su cui è necessario prendere decisioni collettive». Quasi una candidatura — ora che ha perso il lavoro alla Casa Bianca — a tenere i fili di questo dialogo sovranazionale.

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