In marcia contro Trump. Spari a Portland
NEW YORK Come era prevedibile, il primo fine settimana dopo l’elezione di Trump ha visto una serie corposa di manifestazioni. Ancora una volta gli americani che non hanno votato per il tycoon newyorchese e che lo considerano pericoloso, sia internamente che esternamente, sono tornati per strada al grido di «tu non sei il mio presidente».
Questa serie di manifestazioni arriva dopo quasi una settimana di mobilitazioni in tutti gli Stati uniti, da Boston a Dallas, a Chicago a New York. Solo la notte precedente, tra venerdi e sabato, alcune migliaia di persone avevano manifestato a Miami, bloccando più volte le interstatali che passano per la città, così come anche ad Orlando, nel nord della Florida.
La maggior parte dei cortei e delle azioni si sono svolte in modo pacifico, le eccezioni maggiori sono in costa ovest con gli scontri di Oakland e più di tutto quelli di Portland, in Oregon, dove è avvenuto uno scontro tra un uomo in una macchina e un manifestante anti- Trump terminato con dei colpi di arma da fuoco sparati dal guidatore.
La polizia presente sul luogo ha subito soccorso la vittima, ma non è riuscita ad arrestare il sospetto, descritto come un uomo alto, nero, vestito con una felpa con cappuccio e dei jeans. Un testimone che è stava trasmettendo la manifestazione in diretta su Facebook, ha detto che il confronto era iniziato dopo che i manifestanti avevano «riconosciuto l’autista nell’auto come una persona già vista durante le proteste, coinvolta nel danneggiamento di pubblici esercizi, in saccheggi e negli scontri che si sono visti negli ultimi due giorni».
A Portland, città ancora chiamata «Piccola Beirut» per via della sua storia di proteste e rivolte vigorose, durante le prime due notti le manifestazioni si erano svolte con calma. Durante la terza notte, invece, come raccontano gli attivisti e gli organizzatori, la folla è cambiata e l’agitazione ha preso una piega violenta. Secondo la polizia la protesta di giovedì era «ormai una rivolta» a causa di quello che i funzionari hanno definito «un comportamento criminale e pericoloso».
Le autorità hanno cercato di dividere i manifestanti pacifici da quelli che stavano distruggendo proprietà private e pubbliche con mazze da baseball, e sono passate ad utilizzare spray al pepe e pallottole di gomma.
«Possiamo essere certi che queste proteste cresceranno nel prossimo futuro – ha affermato TV. Reed, professore universitario del Minnesota e autore del libro «L’arte della protesta» – Vari gruppi, i movimenti, si preparano a resistere a tutte le politiche della nuova amministrazione che minacciano le persone stigmatizzate da Trump o che, come suggerisce l’evidenza scientifica, accelereranno la catastrofe ambientale.
Bloccare il traffico e altre tattiche simili, sono a simboleggiare che le politiche della nuova amministrazione incontreranno un’opposizione vigorosa e massiccia e non ci sarà spazio di movimento per il fanatismo, il razzismo, la xenofobia e la misoginia che sono stati dilaganti nella campagna di Trump». Al momento sono in programma manifestazioni per settimane, alcune imponenti come la Million Woman March prevista per il 21 gennaio, giorno immediatamente successivo all’insediamento di Trump alla Casa Bianca.
In questo scenario la piazza più attiva resta quella di New York, dove venerdì alcune migliaia di persone hanno dato vita al Love Rally, all’insegna della tolleranza contrapposta alla retorica violenta del neo presidente eletto. Ieri, invece, si è svolta la manifestazione più imponente dall’inizio di questa mobilitazione spontanea, più di 10.000 persone hanno risposto al tam tam nato in rete e il corteo che doveva partire alle 14,30 è partito prima perché Union square non riusciva a contenere tutti. Direzione: la blindatissima Trump Tower. Tra la folla anche Micheal Moore a riprendere con il telefonino.
«Tutto questo sta compattando il movimento come non mai – dice Mark, tra gli organizzatori – io sono un occupyer, ho curato, come molti di noi la comunicazione, Ows sa come portare la gente in piazza e lo stiamo facendo tutti, tutti stanno mettendo le proprie abilità a disposizione. Ci sono gruppi di attivisti musulmani ed ebrei che lavorano insieme, con Black Lives Matter, con gli hacker, con il movimento Lgbtq. Lui vuole dividerci? Guarda il risultato».
Per la maggior parte delle persone accorse non è la prima manifestazione, ma molti raccontano di non aver mai sentito l’urgenza di fare un corteo prima, ma che ora è tutto diverso. «Non posso stare a casa e guardare in tv Trump entrare alla Casa Bianca e stringere la mano ad Obama, dopo che per anni ne ha discusso la legittimità – dice Toby che al corteo partecipa con sua figlia dodicenne – io sono un maschio bianco americano, ma sono insultato, offeso, ferito da ogni parola che Trump ha pronunciato in questi mesi. Non è il mio presidente e nemmeno quello di mia figlia».
La folla che si riversa per le strade è rumorosa e colorata, non sembra aver intenzione di smettere di marciare tanto presto. «Saranno 4 anni lunghi – profetizza Monica, ispanica – e lui potrebbe avere un impeachement anche prima di gennaio. Come donna, come ispanica, è mio dovere stare in corteo. Siamo qui per restare».
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