by Marco Vulcano, il manifesto | 10 Novembre 2016 9:29
Degli 11 mesi trascorsi da quando la statunitense General Electric, acquisendo per più di 10 miliardi le centrali della francese Alstom, è entrata in possesso dello stabilimento di Sesto San Giovanni, sinonimo di alta tecnologia (all’interno c’è una delle tre camere blindate per il bilanciamento dei rotori che è possibile trovare in Italia), ben nove sono stati occupati dalla vertenza sindacale ancora in corso.
Ai nuovi arrivati sono infatti bastati meno di 60 giorni per presentare un piano di ristrutturazione che prevede 6500 esuberi in tutta Europa e, per quanto riguarda l’Italia, la chiusura del sito di Sesto San Giovanni, con oltre 200 licenziamenti di cui una prima tranche nel 2016, il resto nel 2017.
Nonostante una lunga trattativa sindacale, mobilitazioni, incontri istituzionali e scioperi proclamati anche in altre aziende del gruppo (Nuovo Pignone e Avio), la situazione è ancora ferma al palo, con il colosso nordamericano che ha già spedito una sessantina di lettere di licenziamento e i lavoratori che sono in assemblea permanente da 42 giorni, occupando la fabbrica giorno e notte.
All’ultimo tavolo tra azienda, governo e sindacati, lo scorso 26 settembre, presente la viceministra allo Sviluppo economico Teresa Bellanova, l’azienda ha ulteriormente rifiutato di trovare un’alternativa ai licenziamenti, proponendo di ricollocare parte degli esuberi in Piemonte, Toscana, Puglia e Campania – offerta che la stessa viceministra ha giudicato provocatoria – e ribadito che nell’eventuale vendita del sito non sarà compresa la proprietà intellettuale delle conoscenze tecnologiche.
«Un atteggiamento che – afferma Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom Cgil – dimostra come le intenzioni della multinazionale siano solo quelle di saccheggiare il know-how dello stabilimento di Sesto, andando a produrre altrove (in Romania, ndr)».
Al momento gli uffici legali dei sindacati stanno impugnando i licenziamenti, forti anche della recente risoluzione sulla «Necessità di una politica europea di reindustrializzazione» con cui il Parlamento europeo, a larga maggioranza, ha invitato «la Commissione a consultare le parti sociali sull’opportunità di una revisione della legislazione vigente in materia di licenziamenti collettivi, inclusa la possibilità di infliggere sanzioni e sospendere l’accesso ai programmi finanziati dalla Ue». Finanziamenti di cui beneficia anche General Electric che, proprio oggi, firmerà al ministero dello Sviluppo economico un accordo con la Regione Toscana grazie al quale avrà soldi pubblici per la ricerca nelle turbine.
La scorsa settimana i delegati Fiom Cgil hanno consegnato alla ministra dell’Istruzione Stefania Giannini, in visita allo stabilimento GE Avio, una lettera con cui si chiede l’intervento diretto del presidente del consiglio Matteo Renzi.
Se il colosso americano dell’energia ha puntato finora molto sul settore energetico (nel linguaggio tecnico include elettrico, termico, eolico), non più di una settimana fa ha scorporato le sue attività petrolio e gas fondendole con il colosso Baker Hughes e dato vita a una partnership con un volume d’affari annuale di 32 miliardi di dollari, controllata per due terzi proprio da General Electric. Una mossa che, rilanciando gli utili operativi nei settori Oil & Gas, potrebbe trasformarli nei nuovi asset strategici della multinazionale al posto dell’energetico.
Abbiamo sentito la General Electric, che smentisce questa ultima opzione e conferma di voler restare anche nel segmento energia, ma lavoratori e sindacati non si sentono comunque rassicurati.
SEGUI SUL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2016/11/89162/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.