Uno schiaffo a Orbán

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BUDAPEST Dopo il mancato quorum al referendum sulle quote migranti Viktor Orbán si vede bocciare in parlamento la proposta di modifica costituzionale contro il sistema delle quote di accoglienza. All’indomani del voto il premier e i suoi collaboratori avevano commentato con soddisfazione il fatto che la quasi totalità di quanti si erano recati alle urne si fosse espressa a favore del governo e dato poca importanza al mancato raggiungimento del quorum. L’esito della votazione in parlamento è stato accolto con meno fair-play da deputati della maggioranza che nell’occasione avrebbero lanciato accuse di tradimento della patria al partito di estrema destra Jobbik, reo di aver fatto mancare il suo appoggio alla forza politica guida dell’esecutivo.

Torniamo indietro di poco più di un mese: una volta noto il risultato del referendum Orbán aveva annunciato davanti ai membri dell’assemblea nazionale il proposito di modificare la Legge fondamentale, ossia la Costituzione voluta proprio dal partito governativo Fidesz ed entrata in vigore il primo gennaio del 2012, per sottrarre l’Ungheria all’obbligo di ospitare migranti sulla base di un meccanismo di quote voluto dall’Unione europea. «Solo a noi ungheresi spetta decidere con chi convivere e se vogliamo convivere con altri» è la posizione del governo e dei suoi sostenitori; da considerare che più volte il premier aveva affermato di non vedere di buon occhio che genti di altra cultura e religione si mescolino ai suoi connazionali. Per Orbán con il referendum, il paese aveva lanciato un segnale chiaro all’Ue, un messaggio di cui Bruxelles avrebbe dovuto tenere conto. La modifica costituzionale si riferiva, per la precisione, ad un divieto di insediamento di massa di cittadini stranieri sul territorio ungherese come affermazione di sovranità nazionale nei confronti dell’Ue.

La proposta di emendamento veniva descritta dai rappresentanti dell’esecutivo come un’iniziativa presa nello spirito del referendum che Bruxelles non avrebbe considerato valido nemmeno nel caso il quorum fosse stato raggiunto. «Un gioco pericoloso», aveva definito il presidente del parlamento europeo Martin Schulz la politica di Orbán consistente in una sfida aperta all’Ue sul tema migrazione, a fronte dei neanche 1.300 migranti che l’Ungheria sarebbe chiamata ad accogliere.

È comunque chiaro che, al di là dei numeri, il governo ungherese e i suoi sostenitori respingono il principio che il loro paese sia obbligato da poteri esterni a dare accoglienza ai profughi e che tale rifiuto debba essere sanzionato con multe pecuniarie. Così la battaglia di Orbán è andata avanti con la presentazione della proposta di emendamento costituzionale e relativa votazione.

Torniamo a oggi: l’esito del voto è in pratica la prima sconfitta patita dal premier in Parlamento dal 2010, anno in cui è approdato al governo dopo otto anni di potere liberalsocialista. Il mancato appoggio di Jobbik era previsto; in cambio del suo sostegno il partito aveva chiesto all’esecutivo la soppressione dei «titoli di insediamento», si parla della possibilità per i cittadini stranieri di acquisire il diritto di vivere in Ungheria comprando buoni speciali del tesoro a un prezzo di 300.000 euro. A tutt’oggi circa 6.000 persone, in maggioranza russi e cinesi, avrebbero beneficiato di questa opportunità costituendo, secondo il presidente di Jobbik Gábor Vona, una minaccia alla sicurezza nazionale. Il Fidesz aveva respinto l’offerta, definita un «ricatto». La proposta è stata votata da 131 deputati, tutti appartenenti al partito di governo.

Mancavano due voti per l’approvazione. Una volta reso noto il risultato della votazione, deputati della maggioranza hanno accusato Jobbik di «tradimento della patria», ed esponenti del partito di Vona, anch’esso peraltro contrario alle quote, hanno risposto srotolando uno striscione con scritto «Traditore è chi vende per denaro il diritto di insediamento facendo entrare dei terroristi!».

È quindi guerra tra i due partiti di destra che al momento rappresentano i soggetti politici più influenti in Ungheria. Negli ultimi anni Jobbik ha conosciuto una crescita considerevole in termini di consenso popolare e da un po’ di tempo afferma di puntare alle elezioni del 2018 per la conquista del governo.

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