Rissa Juncker-Renzi
Decisamente non è un momento fortunato per Matteo Renzi. Ieri è stata una giornata nerissima sul fronte nevralgico della legge di bilancio. Il presidente della Commissione europea Juncker si è tolto parecchi sassolini dalle scarpe, prendendo di mira Renzi pur senza mai nominarlo: «L’Italia non smette di attaccare la Commissione a torto, e questo non produrrà i risultati previsti». E poi: «Non si può dire che le politiche di austerità vengono continuate come prima da questa Commissione, e se lo si dice io me ne frego. L’Italia può spendere 19 mld in più grazie alla flessibilità».
Torrentizio, Juncker si è spinto fino a fare pubblicamente i conti in tasca al governo italiano con una decina di giorni di anticipo sul parere ufficiale della Commissione, che arriverà il 16 novembre: «I costi per rifugiati e terremoto equivalgono allo 0,1% del Pil. L’Italia ci aveva promesso di arrivare a un deficit dell’1,7% e ora ci propone il 2,4% quando quei costi sono dello 0,1%». Un po’ perché parlava a braccio, un po’ per la visibile irritazione, Juncker si è confuso, come ha lui stesso poi ammesso, la proposta italiana essendo del 2,3 e non del 2,4% a fronte di un impegno che era dell’1,8 e non dell’1,7%. Ma sono particolari.
Renzi ha replicato immediatamente a muso duro: «Non guardiamo in faccia nessuno. I soldi per l’edilizia scolastica li mettiamo fuori dal patto di stabilità checché ne dicano i funzionari europei. Noi non siamo il salvadanaio mentre gli altri alzano muri. Se il governo sarà forte e stabile metteremo il veto al Bilancio europeo». Anche al netto del passaggio furbesco e tutto a uso referendario interno sulla «forza e stabilità» del governo sono toni che devono essere piaciuti molto poco allo stesso Juncker e ai falchi di Berlino.
Il problema, ancor più del presidente della Commissione, è infatti la loro offensiva a tutto campo: contro Draghi, per il quantitative easing, e contro Juncker, accusato di allargare troppo facilmente i cordoni della borsa. In entrambi i casi l’Italia è la principale pietra dello scandalo: a Berlino Draghi è sempre stato accusato, più o meno a mezza voce, di favorire il suo Paese d’origine e ancora l’Italia è il Paese che più di ogni altro si è avvalso della flessibilità della Commissione. L’intemerata di Juncker è stata anche, probabilmente, un tentativo di fronteggiare l’attacco dei rigoristi dimostrando di non essere troppo malleabile.
Ma il segnale resta pessimo e non è l’unico. A palazzo Chigi non è sfuggito il fatto che il governo tedesco si è speso tardi a favore del Sì al referendum e per bocca del ministro degli Interni, non di Angela Merkel. Ancor più minacciosa la severità mostrata ieri anche dal commissario all’Economia Moscovici che, prima dell’incontro con il ministro Padoan previsto per la notte o al più tardi per questa mattina, è andato giù con parole insolitamente rigide: «Il Patto è intelligente, la Commissione estremamente comprensiva, ma ci sono regole che vanno rispettate da tutti». Per ora sono solo segnali, ma non promettono niente di buono.
Sul fronte interno le audizioni di ieri di fronte alle commissioni Bilancio registrano un esito altrettanto preoccupante. Pollice alzato da parte di Bankitalia che considera «non irraggiungibile» il risultato di un Pil all’1% l’anno prossimo: un verdetto che sa di carità di patria. Promozione anche da parte dell’Agenzia delle entrate, ma la Corte dei Conti è invece negativa: «Elementi di problematicità» sul fronte delle coperture, mentre «il ruolo della riduzione della spesa è limitato».
Il giudizio più severo arriva però proprio dalla fonte più ascoltata in Europa, l’Ufficio parlamentare di bilancio. Si tratta di un intervento «non privo di rischi» data la presenza di «impegni permanenti compensati solo in parte da entrate permanenti e certe». Le misure sono «frammentarie e difficilmente riferibili a un disegno organico». La rottamazione delle cartelle Equitalia premia «i meno meritevoli e può contribuire a indebolire il senso di obbedienza fiscale». Gli interventi sulla famiglia? «Di modesta entità e non selettivi». La voluntary disclosure? «Rischia di essere sovrastimata». Se non è una bocciatura senza appello ci manca davvero pochissimo.
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