Magistratura democratica non si scioglie e rilancia

Magistratura democratica non si scioglie e rilancia

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Il congresso dell’orgoglio ritrovato: le giornate bolognesi saranno probabilmente ricordate così. Magistratura democratica non si scioglie affatto, e anzi rilancia: la corrente di sinistra delle toghe riafferma le proprie ragioni fondanti, quelle che nel 1964 portarono un drappello di «eretici», riuniti proprio nel capoluogo emiliano, a rompere gli assetti del terzo potere dello stato nel nome dei valori della Costituzione repubblicana. Quella Costituzione aggredita dal governo di Matteo Renzi con la riforma sottoposta a referendum, sul quale ieri è intervenuto uno degli ospiti più importanti del congresso, l’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky, figura-simbolo del comitato del No, accolto calorosamente: «A chi dice che la prima parte della Carta non è stata toccata, dobbiamo ricordare invece che è stato violato clamorosamente l’articolo 1, perché le modifiche sono avvenute con un atto di sovranità di un parlamento illegittimo, quindi al di fuori delle forme e dei limiti della Costituzione stessa».
Inevitabilmente, il referendum è stato anche ieri un tema centrale del congresso: fra i più duri, il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, per il quale la riforma renziana sta in un riassetto «generale dei poteri verso luoghi della sovranità privi di legittimazione democratica, come la Bce e la Commissione europea».

Ma si è parlato anche di molto altro. Presenti il guardasigilli Andrea Orlando (Pd) e il numero uno dell’Anm Piercamillo Davigo, la discussione si è incentrata sulle nuove norme in materia di giustizia e sul rapporto fra magistrati e politica. Bruciano ancora le ferite del decreto legge che ha prorogato nel loro ruolo i vertici della Cassazione e aumentato di un anno l’obbligo di permanenza nella stessa sede, mentre poco o nulla si è fatto su questioni come la prescrizione e le carenze di organico. E c’è preoccupazione per le indiscrezioni sulle novità in materia di diritto d’asilo. Per Orlando il governo fa quel che può «in condizioni difficili, essendo la maggioranza una coalizione non omogenea». Il rimedio? Manco a dirlo, «la vittoria del sì al referendum, che consentirebbe la formazione di compagini di governo più compatte». Frecciata verso la platea che, referendum a parte, ha reagito alle sue parole meno negativamente di come avesse fatto il giorno prima nei confronti del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini (anche lui Pd).

Non sono più i tempi berlusconiani dell’assedio all’indipendenza, e su questo concordano ministro e magistrati, ma questi ultimi vedono ora un altro pericolo: quello delle «lusinghe». Giudici e pm non più nemici, anzi: troppo amici del potere politico, che offre loro incarichi di ogni genere, nei dicasteri o nelle authority. In forma diversa da prima – viene detto – è lo stesso un’insidia all’indipendenza. In molti interventi risuona la necessità di una nuova intransigenza da parte di Md, anche nei confronti delle derive interne alla corporazione delle toghe. Emilio Sirianni, giudice d’appello a Catanzaro, punta il dito sulla repressione del movimento Notav, «esempio di diritto penale del nemico, su cui deve farsi sentire molto di più la nostra voce critica». Sulla difficile condizione delle carceri richiama l’attenzione la livornese Giuliana Civinini, che denuncia come Md sia l’unica associazione di giudici e pm sensibile al «Giubileo dei detenuti» in programma per oggi. E poi la questione del concorso per l’accesso in magistratura: oggi non possono sostenerlo i neolaureati, perché sono necessari due anni di scuola di specializzazione, ovviamente a pagamento. «È una modalità classista, di fatto possono permetterselo solo le persone che hanno famiglie alle spalle che possano mantenerle», accusa Giulia Locati, giudice di prima nomina a Milano. Altro vistoso neo: il «tetto di cristallo» che, malgrado eccezioni, continua generalmente a bloccare l’ascesa delle donne magistrate agli incarichi direttivi.
Il confronto interno sul rapporto fra Md e Area, la coalizione con l’altra corrente progressista, Movimento per la giustizia, ha prodotto una linea condivisa: non ci sarà un annacquamento di Md nella coalizione, come alcuni temevano, ma nemmeno una rottura con gli alleati. Oggi, nell’ultima giornata dei lavori, quest’intesa dovrebbe essere sancita dall’approvazione di una mozione unitaria e dall’elezione di un consiglio nazionale che rappresenti tutte le diverse anime. Si profila già anche un’intesa sul nuovo ticket che subentrerà a Carlo De Chiara e Anna Canepa alla guida dell’associazione: quasi sicuramente sarà composto da Riccardo De Vito, giudice di sorveglianza a Nuoro, e Mariarosaria Guglielmi, pm a Roma, entrambi membri dell’esecutivo uscente.

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