Subito la legge, l’Italia non è offshore per torturatori

by Patrizio Gonnella, il manifesto | 9 Ottobre 2016 16:49

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Dittatori e criminali di guerra potrebbero scegliere l’Italia quale rifugio per sottrarsi alla giustizia. L’Italia rischia di diventare il paradiso dei torturatori di professione. Non proprio una bella figura per il Paese di Verri e Beccaria. Nei giorni scorsi Matteo Viviani, nella trasmissione Le Iene, ha raccontato la storia di un sacerdote italo-argentino accusato di «imposicion de tormentos» dai giudici sudamericani per fatti risalenti ai tempi del regime fascista di Videla e rifugiatosi in Italia che ha negato l’estradizione.

In Italia la tortura non è reato. Per gli altri crimini a lui ascrivibili la prescrizione ha fatto il suo corso. L’Italia ha ratificato lo Statuto della Corte Penale Internazionale che inserisce la tortura, al pari del genocidio e dei crimini di guerra, tra i crimini contro l’umanità, ma non ha adeguato ancora il proprio codice penale. Dunque se un criminale di Stato si presenta nel nostro Paese i nostri giudici e i nostri poliziotti non potrebbero arrestarlo per tortura. E’ triste una nazione che penalizza tutto e tutti ma che lascia impunita la tortura.

A luglio il Senato ha nuovamente deciso di anestetizzare la discussione dopo trentadue anni da quel solenne 10 dicembre 1984 quando le Nazioni Unite sancirono e definirono la tortura quale delitto iuris gentium. Il dibattito si è nuovamente arenato intorno a sofismi su parole. In quei giorni caldi e grigi di luglio il centrodestra esultò. Il Pd non si oppose alla morte della legge, nonostante il capogruppo Luigi Zanda poco tempo prima avesse affermato perentoriamente che: «Il Parlamento ha un debito con la società italiana e anche con l’ordinamento internazionale. E questo debito va onorato: quello di introdurre nel nostro ordinamento con venti anni di ritardo il reato di tortura». A parte che gli anni sono molti più di venti, il debito non è stato onorato. Il ministro Alfano si è dichiarato vincitore. Ma vincitore di che? L’Italia si sta lentamente guadagnando la palma di paradiso per i torturatori offshore.

Viviamo in un Paese dove accade che un sindaco, a Trieste, con prepotenza decida di togliere dal proprio Comune lo striscione di Amnesty International che chiedeva «Verità per Giulio Regeni», torturato sino alla morte.

Siamo vicini ai sette anni dalla morte di Stefano Cucchi. Non è stato possibile procedere per tortura, in quanto la tortura non è reato. Siccome siamo testardi abbiamo deciso di ricordare a Matteo Renzi, ad Andrea Orlando, a Luigi Zanda i loro impegni e le loro promesse. Il prossimo 13 di ottobre la mattina alle 10 saremo davanti al Parlamento in silenzio per ricordare tutte le vittime della tortura. Il sit-in vede la partecipazione di tantissime associazioni (Antigone, Cild, A buon diritto, ACAT Italia, ACT, Amnesty International Italia, Arci, BIN Italia, Camera Penale di Roma, CIR, Cittadinanzattiva, CNVG, Associazione Federico Aldrovandi, Forum Droghe, Fondazione Franca e Franco Basaglia, Fuoriluogo, Giuristi Democratici, associazione radicale Il detenuto ignoto, L’altro diritto, Medici contro la Tortura, Naga, Progetto Diritti, Radicali Italiani, Ristretti Orizzonti, SIPP, Società della Ragione). del sindacato (la Fp Cgil), degli avvocati dell’Unione delle Camere Penali Italiane e dei giudici di Md.

Saremo in silenzio perché le vittime di tortura sono silenziate. Perché è tornato silente il dibattito in Parlamento. Perché non ci sono parole per esprimere i sentimenti di indignazione per il silenzio delle istituzioni di fronte alla tragedia della violenza pubblica. C’è un elenco lungo di responsabilità politiche dalla fine degli anni ’80 a oggi. C’è ancora tempo per approvare la legge prima della fine della legislatura. E noi lo ricorderemo in silenzio a chi ci governa.

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