by Luca Fazio, il manifesto | 20 Ottobre 2016 10:55
La protesta dei dipendenti della sede di Milano che è destinata alla chiusura: “Non siamo pacchi da spedire a loro piacimento, abbiamo una vita e una dignità da rispettare”. I sindacati: “Faremo di tutto per salvare i posti di lavoro e il marchio sul territorio”
MILANO Il tappeto rosso per una sfilata di lavoratori della moda prossimi al licenziamento è uno spettacolo piuttosto insolito in corso Vittorio Emanuele, una delle vie dello shopping di lusso più famosa al mondo. Perché fa a pugni con il glamour stucchevole che racconta la Milano che vende moda e perché l’industria italiana del settore quest’anno crescerà dell’1,4%, un punto in meno del 2015 ma pur sempre il doppio rispetto all’economia italiana (fatturato annuo 83,6 miliardi di euro). Ma non è tutto lustrini quello che luccica, basta chiederlo ai lavoratori della maison di Roberto Cavalli – rilevata più di un anno fa dal Fondo Clessidra – che stanno protestando contro un piano di ristrutturazione piuttosto duro.
Lo sciopero di ieri davanti alla sede milanese dell’azienda, un’ora, segue lo stop di otto ore di venerdì scorso. “La più colpita è la sede di Firenze – scrivono Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec – che già a dicembre aveva avuto 39 licenziamenti. La mobilità riguarderà un quarto dei dipendenti – 77 addetti su 280, di cui il 75% donne con un’età media di 40 anni – e vedrà la chiusura del reparto stamperia. Il piano prevede anche la chiusura della sede di Milano, il trasferimento degli gli uffici a Sesto Fiorentino e la riduzione complessiva dell’organico in Italia a 372 lavoratori”.
L’apertura della procedura di mobilità riguarda 372 dipendenti, di cui 115 considerati esuberi: “Come sindacato chiuderemo un incontro all’azienda e di aprire un tavolo istituzionale sulla crisi, vogliamo un piano industriale, faremo di tutto per salvare posti di lavoro e marchio sul territorio”. Tra i licenziati c’è anche il direttore creativo Peter Dundas che dopo aver firmato la sua terza collezione se ne va senza sbattere la porta e senza troppi problemi.
Dietro ai numeri c’è la vita delle persone e – “creativi” a parte – un trasferimento imposto può essere peggio di un licenziamento. “Non siamo pacchi da spedire a loro piacimento, ognuno di noi ha una storia da raccontare e una propria dignità”, dicevano ieri i lavoratori della sede di Milano (80 dipendenti) mimando una sfilata tra scatole di cartone. Davide, per esempio, sarebbe licenziato, la sua compagna Silvia trasferita. Durante il presidio altri lavoratori hanno approfittato della location per sfilare con l’elmetto e il tradizionale striscione, quelli della General Electric.
I conti dell’azienda erano in rosso già dal 2014 e sono peggiorati da quando Roberto ed Eva Cavalli non sono più alla guida del gruppo: aveva chiuso il bilancio con 210 milioni di ricavi e 12 milioni di perdita netta. Anche il 2016, secondo i nuovi padroni del Fondo Clessidra, società che gestisce operazioni finanziarie per “valorizzare gli investimenti”, non lascia ben sperare. “L’industria della moda – spiega l’ad Giacomo Ferraris – sta attraversando tempi difficili, dettati da una significativa contrazione dei consumi in diversi mercati chiave e da una sostanziale trasformazione delle dinamiche di settore. In questo contesto, solo i marchi iconici, con un modello di business coerente e un’organizzazione efficiente saranno in grado di sopravvivere”. Semplice. Il marchio Cavalli per sopravvivere in tutto il suo splendore dovrebbe sbattere in mezzo la strada 115 persone. Trattasi di semplice operazione finanziaria per valorizzare gli investimenti.
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