Presidenziali Usa, irrompe l’Fbi: indagine su Hillary
A 11 giorni dal voto l’Fbi ha riaperto il caso sulle mail di Clinton, mettendo così in dubbio un esito che appariva scontato. Secondo il direttore dell’agenzia «sono state ritrovate nuove mail connesse con un altro caso che pare essere pertinente con le investigazioni» sull’uso della mail personale per trattare forse informazioni riservate.
Fino ad ora l’Fbi aveva riscontrato un uso improprio della mail privata di Clinton, ma non l’aveva incriminata pur definendo questo uso disinvolto della propria posta elettronica «una grave noncuranza». Se questa noncuranza dovesse risultare una prassi abituale nel trattare contenuti relativi al suo lavoro come Segretario di Stato, sarebbe tutto un altro discorso. La notizia della nuova investigazione è stata accolta molto favorevolmente da Trump che si trovava a un comizio in New Hampshire e ha elogiato l’Fbi davanti una folla roboante affermando che ha dimostrato «coraggio e il terribile errore che hanno fatto».
Nonostante questo il finale di campagna del tycoon non si sta certo tingendo di gloria. Sempre più solo, sta tenendo gli ultimi comizi negli Stati in bilico, ma le donazioni da parte dei maggiori finanziatori alla sua campagna languono, e stanno invece confluendo verso le sfide per i rappresentanti al Senato e alla Camera.
Secondo un’informativa depositata presso la Commissione elettorale federale, si parla di decine di milioni di dollari di donazioni tardive che si stanno concentrando sulle sfide per i rappresentanti a Camera e Senato, mentre Trump sembra aver perso il sostegno del suo principale donatore: sé stesso. Nelle prime tre settimane di ottobre, infatti, Trump ha contribuito alla sua campagna con 31.000 dollari per spese di affitto e stipendi del personale, il minimo indispensabile, nulla rispetto ai 2 milioni al mese di autofinanziamento che aveva investito dalla nomination repubblicana in poi.
«Ho sentito dire che i sostenitori repubblicani sono davvero preoccupati che Hillary stia per diventare il presidente – ha dichiarato Stanley Hubbard, miliardario del Minnesota e uno dei maggiori donatori di Trump – è quindi meglio cercare di piazzare i repubblicani al Senato. Credo che i donatori abbiano finito di sostenere Trump, forse troppo tardi».
Le cose vanno diversamente in casa democratica; anche Hillary continua gli sforzi sostenuta da tutto il partito che fa campagna per lei, compresa Michelle Obama che ogni volta che interviene pubblicamente produce una serie infinita di reazioni favorevoli, così come Joe Biden al quale, secondo Politico, verrà offerto il ruolo di Segretario di Stato. Da metà ottobre la campagna di Clinton ha raccolto 2.8 milioni di dollari al giorno e al momento ha a disposizione 62 milioni, quattro volte il budget elettorale di Trump.
Stando a questi numeri sembra evidente quale sia il carro del vincitore su cui saltare, anche se questo carro prosegue su di una strada dissestata. Non si sono fermate le rivelazioni di Wikileaks che bersagliano la campagna democratica, mostrando scenari torbidi.
Stando alle ultime rivelazioni, in diversi scambi di email i maggiori collaboratori di Hillary erano preoccupati: le donazioni straniere per la Fondazione Clinton e le imprese personali di Bill Clinton avrebbero potuto influenzare il futuro politico della candidata. Le email rilasciate da WikiLeaks questo mese, rivelano anche come gli sforzi per ridurre al minimo i potenziali conflitti presso la Fondazione abbiano portato a lotte di potere e lotte intestine tra i collaboratori e la famiglia Clinton.
Uno dei collaboratori, Douglas J. Band, ha osservato in una email che l’ex presidente riceveva profitti provenienti da alcuni donatori della fondazione inclusi molti regali costosi.
D’altro canto Chelsea Clinton ha accusato gli aiutanti del padre di prendere «ingenti somme di denaro dai miei genitori» e di manovrare durante gli eventi della Fondazione per acquisire clienti per le proprie attività, e anche dell’installazione di spyware sul computer del suo capo del personale. Ma i guai relativi alle email non finiscono qui.
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