Il lavoro non è un ticket. Il referendum della Cgil per abolire i voucher

by Antonio Sciotto, il manifesto | 12 Ottobre 2016 10:01

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«Io al referendum voterò Sì». Detto da un delegato della Cgil può suonare strano, ma attenzione: non stiamo parlando del 4 dicembre. C’è un altra consultazione popolare di cui nessuno ancora parla, ma che è importantissima per la vita di tanti nostri concittadini, quanto lo è la Costituzione: chiede l’abolizione dei voucher. È’ uno dei tre quesiti proposti dal sindacato, che ha già raccolto e depositato le firme in Cassazione (1,3 milioni sotto ciascuno di loro), e che dovrebbe essere fissato nella primavera prossima. «Per noi i ticket lavoro sono un disastro», spiegano i lavoratori che a Torino affollano «A new order, nuove frontiere per l’inclusione», l’assemblea che la Filcams Cgil ha organizzato per fare il punto sulle moderne forme di sfruttamento e tentare una reazione.

LA FILCAMS è la categoria più grossa della Cgil. Nel comparto che rappresenta lavorano cinque milioni di lavoratori contrattualizzati, per non parlare ovviamente dei voucheristi, delle partite Iva, di chi è costretto al nero: lavorano nei ristoranti e nei fast food, nei supermercati e nelle pulizie, nella vigilanza e negli studi professionali, sono anche le colf e le badanti che alleggeriscono la nostra vita familiare. Un esercito di persone che sta preoccupantemente scivolando dal lavoro stabile all’usa e getta: «Gli stessi che l’anno scorso o due anni fa avevano dei contratti a termine o a tempo indeterminato oggi spesso vanno a voucher, o semplicemente sono sostituiti da giovani: e non si tratta di esigenze temporanee delle imprese ma di lavoro strutturale», spiegano i segretari Filcams di due aree ad altissima concentrazione di ticket, Marco Beretta di Milano e Isabella Pavolucci di Rimini.

CHE DOPO LA DROGA degli incentivi per le assunzioni stabili stiano via via diminuendo le assunzioni a tempo indeterminato non è un mistero, e dall’altra parte – come è noto – i voucher sono in costante crescita, nonostante il trend sia più lento di quello registrato l’anno scorso: 115 milioni di ticket staccati nel 2015, già 84 milioni nei primi sette mesi di quest’anno (+36%). Ricordiamo anche l’impennata dei licenziamenti (+7,4%) nel secondo trimestre 2016. Sono tutti dati che non si possono accorpare in modo immediato, a voler essere scientifici, ma che sicuramente indicano una tendenza: che le persone sentono immediatamente sulla propria pelle. La conferma viene anche dai territori: «Dal 2015 al 2016 abbiamo un 11% in meno di assunzioni a tempo determinato nella provincia di Milano – spiega il segretario Beretta – e nel contempo non si arresta la corsa dei ticket: alla Carrefour, per esempio, le cassiere di domenica sono soprattutto voucheriste, e delle 2 mila assunzioni annunciate nel centro commerciale di Arese, quello che una volta era l’Alfa Romeo, oltre la metà sono a termine, soprattutto con i buoni lavoro e a chiamata». A definirle «assunzioni», insomma, sono giusto le imprese o i politici che vogliono farsi belli, e d’altronde un’ora di voucher nelle statistiche Istat fa occupazione. Ma la realtà è ben più cruda: chi piomba nell’inferno dei ticket rischia di non uscirne più, e anzi per le nuove generazioni sembra quasi l’unica prospettiva all’orizzonte, da difendere con le unghie e con i denti. I sindacalisti confermano che quando spiegano a chi ha 20-25 anni il contenuto del quesito referendario Cgil – abolire per sempre questa forma di impiego – questi strabuzzano gli occhi e li accusano di volergli togliere «l’unica possibilità di lavoro che si trova in giro». «Ma poi, quando a fine stagione si accorgono di non poter più accedere alla disoccupazione come accadeva con i vecchi contratti, allora cominciano a capire», spiega con amarezza Pavolucci di Rimini.

I VECCHI STAGIONALI della riviera romagnola, quelli che lavoravano a termine sulle spiagge come bagnini o negli alberghi e ristoranti come camerieri o nelle pulizie, rischiano di apparire come dei «privilegiati» rispetto ai voucheristi. I primi facevano a tempo determinato circa 5 mesi l’anno, con tanto di contributi, Inail, malattia, mentre i secondi fanno tutta l’estate in voucher o con un mix di contratto (nella parte centrale della stagione) e ticket (a inizio e fine estate). Il risultato è che quando vanno a compilare la richiesta di disoccupazione, anche in forza delle recenti riforme sul Naspi, i giorni lavorati non sono mai abbastanza per far maturare il sussidio. E così formiamo nuovi poveri, non solo attuali (non hanno reddito per il resto dell’anno), ma anche futuri (zero pensione).

LA RIFORMA FORNERO, che aveva liberalizzato l’uso dei voucher, poi definitivamente implementati dal Jobs Act renziano, ha insomma prodotto un ulteriore beneficio sui conti Inps, che all’inizio non potevamo prevedere: sono tutti assegni previdenziali risparmiati. Tra l’altro, le stesse ragioni addotte da chi sponsorizza i ticket lavoro – «fanno emergere il nero» – sono smentite dal modo in cui vengono utilizzati: se un buono pari a 10 euro (7.50 netti per il lavoratore) dovrebbe corrispondere a un’ora, nella realtà spesso i pagamenti sono forfettari, a coprire un tempo più lungo. Altre volte vengono tenuti nel cassetto e messi fuori solo al momento di un’ispezione, problema a cui dovrebbe ovviare la recente correzione messa a punto dal ministro Poletti: ma il sistema di invio degli sms che certificano a priori la prestazione di fatto non è ancora partito.

UN SECONDO QUESITO referendario proposto dalla Cgil vuole riformare i licenziamenti, tornando a una garanzia più solida e un po’ più simile al vecchio articolo 18. Il terzo è sugli appalti: responsabilizzare i committenti, rendere trasparente la filiera. All’assemblea Filcams incontriamo Alessandra Novello, ausiliaria socio sanitaria dell’ospedale Cannizzaro di Catania: «In sei anni – spiega – ho già cambiato quattro cooperative, e ogni volta c’è tanta ansia. Ci possono dimezzare le ore o non riassumerci tutti: speriamo con il referendum, e con la Carta dei diritti, di poter riordinare anche il nostro settore».

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