Islanda, la destra fa affondare i Pirati
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REYKJAVIK. L’arrembaggio è fallito. Gli elettori islandesi in nome della stabilità hanno scelto la continuità pragmatica di compromessi con i tradizionali partiti di centrodestra al potere da quando vinsero contro i socialdemocratici che avevano rimesso in piedi il paese dalla devastante crisi finanziaria del 2008. Ma la formazione di una maggioranza potrà essere difficile. Alle elezioni anticipate svoltesi sabato qui nella bella isola spazzata da vento e neve, i risultati (resi noti ieri mattina) sono uno schiaffo per i Pirati (Piratar) di Birgitta Jónsdóttir che sembravano destinati a vincere.
Nell’Althingi, il Parlamento unicamerale con 63 seggi ospitato in una deliziosa palazzina neoclassica in pieno centro, la prima forza politica sarà il Partito dell’Indipendenza (centrodestra uscente) dell’abilissimo ministro delle Finanze uscente Bjarni Benediktsson. «Possiamo solo gioire e ringraziare gli elettori, apriremo subito negoziati per un governo stabile», egli ci ha detto a caldo. Poi con i leader di tutti gli altri partiti è corso dal capo dello Stato Gudni Jóhannesson per chiedere mandato esplorativo ed esaminare formule di governo.
Il Partito dell’Indipendenza ha avuto a sorpresa ben il 29,1 percento dei voti. Gli istituti di sondaggi che hanno sbagliato tutto, si battono il petto. Secondo non è il partito pirata, bensì i Verdi di sinistra col 15,8. Piratar appena al 14,8. Perde due terzi dei voti il Partito del Progresso (ex partito agrario, partner uscente di Indipendenza) di Sigurdur Johansson, premier costretto alle dimissioni in aprile perché era tra i ben 600 islandesi evasori elencati nei Panama Papers. Facendo le somme: i Piratar e i loro alleati d’un patto di coalizione presentato troppo tardi agli islandesi per errore strategico dei Pirati stessi (Verdi di sinistra, socialdemocratici e il nuovo partito ‘Futuro luminoso) avranno 27 seggi all’Althingi. Indipendenza e Progresso due di più. Cioè 29. Nessuno raggiunge la metà più uno dei seggi dell’Althingi. Ago della bilancia e “kingmaker” sarà il nuovo partito liberalconservatore europeista Vidreisin (Rinascita), nato da una scissione pro-Ue di Indipendenza. Il suo leader, Benedikt Jóhannesson, si guarda bene dallo schierarsi. Politicamente, dicono qui, è più omogeneo al centrodestra che non con le sinistre. Ma sarebbe un colpo di credibilità allearsi con le forze che aveva lasciato perché loro dicevano no alla Ue e lui vuole entrarvi.
Situazione difficile. Per fortuna grazie al turismo, alla vivacità culturale (massimo numero di scrittori pro abitante al mondo) e dell’industria della musica pop e rock che affolla Reykjavik di giovani di tutto il mondo con concerti delle star globali, l’economia tira: crescita al 4,3 percento l’anno, la disoccupazione 3 percento. Ma cogli umori cupi.
Dice la politologa Salvör Nordal: «Come temevo la voglia di cambiamento è stata più debole del desiderio pragmatico di stabilità, e tra i giovani troppi non sono andati alle urne, i “nuovi” non hanno saputo convincerli».
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