Gli slogan di Renzi, le ragioni del professore Zagrebelsky
Stavolta Matteo Renzi si è preparato benissimo. Per il secondo confronto in «Sì o No» su La7, condotto da Enrico Mentana, il presidente del consiglio si è fatto il mazzo come uno studente che all’esame universitario che sa di dover affrontare il luminare. Ripassando il dossier anche sul volo di ritorno dal funerale di Shimon Perez a Gerusalemme. E si capisce tanta solerzia: il premier deve affrontare il professore Gustavo Zagrebelsky, uno dei più blasonati esponenti del no, già presidente della Corte Costituzionale.
Ma agli esami la tensione gioca brutti scherzi. Renzi attacca la sua mitraglietta, «sono trent’anni che la classe politica dice che si deve semplificare il bicameralismo, dal decalogo Spadolini dell’82», ma il professore, come farebbe ad un esame, inizia con una bonaria presa in giro: «Vedo intanto che forse ha ripensato ai discorsi sui parrucconi, rosiconi, gufi, altrimenti non avrebbe perso tempo, come stasera, con uno di loro…», e si concede persino una battuta: credeva al massimo di poter incontrare la ministra Boschi. Renzi neanche sorride, ha dimenticato la sua polemica sui professoroni, e oggi finalmente un po’ se ne vergogna: «Non mi sono mai permesso di dire che lei è un parruccone». Il professore ribatte: «Spero che non parli di gufi per l’avvenire», ma Renzi è nervoso, «Prof, venga al merito». Più tardi però sarà lui a dimenticare il merito attaccare Zagrebelsky su sue precenti posizioni. Anche lì Zagrebelsky non se ne cura, spiega che i contesti sono importanti: «Se avessimo voluto parlare delle sue contraddizioni…».
I due vengono da due mondi diversi. Renzi incalza con domandine da Lascia o raddoppia, perfette per la tv. «Davvero crede che ci sia un rischio di svolta autoritaria? In che articolo della riforma?». E il professore dialoga con calma e con pazienza che poco hanno a che vedere con i tempi della tv, si concede persino paradossi: «Rischiamo di passare da una democrazia a una oligarchia. La Costituzione di Bokassa non è molto diversa da quella degli Stati Uniti, ma ha una resa diversa, che dipende dal contesto. E la questa riforma ha una resa che dipende dall’Italicum». Renzi ammette che la legge elettorale va cambiata ma «il sistema dei capilista bloccati non piace neanche a me».
Sull’Italicum il dibattito va avanti a lungo. Zagrebelsky insiste sul combinato disposto fra le due leggi, quella elettorale e quella costituzionale, e non ci sta al giochino del presidente, e cioè assicurare che la legge elettorale cambierà.E se non cambiasse? E come cambierà?
Anche sul Quirinale, i due sono agli antipodi. Zagrebelsky insiste a volare alto: «In democrazia chi vince le elezioni non ha solo vinto, è quello incaricato di un grave incarico, ma non è che per cinque anni i vinti non contino nulla. Perché mi guarda così?». Sì, perché Renzi si è preparato sul bignami della sua riforma, ma se è costretto a confrontarsi su un pensiero un po’ più lungo, sulla visione che c’è dietro la sua riforma, perde la battuta. Non capisce il senso vero delle parole del professore e quindi replica che «in tutto il mondo c’è chi vince e chi perde».
«La ragione per cui il bicameralismo paritario non funziona è che le forze politiche non sono coese», e ancora aggiunge «La riforma non funzionerà, il nuovo senato o non funzionerà o porterà ulteriori complicazioni» , continua il professore. Il premier ribatte: «Ma lei, che è stato presidente della Corte costituzionale, perché mi parla di politica?». «Perché i costituzionalisti non devono pensare non ai singoli governi. Questa riforma, più la legge elettorale, in altra forma raggiunge un risultato di premierato assoluto, più forte del presidenzialismo». Renzi , quello che cerca i voti della destra, davanti al professore non vuole ripeterlo: «Lei sta dicendo una cosa che non e’ vera. La riforma di Berlusconi dava al presidente del consiglio il potere di sciogliere le Camere. Ma cosa sta dicendo?». Renzi torna ai vecchi cari slogan. «Noi abbiamo smosso la palude, ma perché volete tornare alla palude?». E già, la palude dei primi tempi, quando Renzi aveva il vento in poppa. Il solo fatto di accettare i confronti televisivi rende evidente che i tempi di quel consenso sono finiti.
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