Galli (Flai Cgil): «Sul caporalato finalmente si sanziona anche l’impresa»
Alla Camera è stata approvata una legge di civiltà, il ddl contro il caporalato che estende agli imprenditori le pene previste per lo sfruttamento: è passato martedì sera con il sì di tutti i partiti, se si eccettua l’astensione di Forza Italia e Lega. Da uno a sei anni di carcere per l’intermediario e il datore di lavoro, da cinque a otto se il reato è commesso con violenza. Viene implementata la Rete del lavoro agricolo di qualità e il ruolo del collocamento pubblico, anche se mancano – come segnala l’M5S, che aveva presentato alcuni emendamenti poi bocciati – il marchio di certificazione etico e l’interdizione delle aziende condannate dall’accesso ai fondi Ue. Le associazioni di impresa, d’altra parte, hanno fatto di tutto per boicottare o depotenziare la legge: ad esempio bloccano da 10 mesi il rinnovo dei contratti provinciali agricoli.
Ivana Galli, segretaria Flai Cgil, una conquista importante per voi e per tutte le persone sfruttate nei campi. Tantissimi sono gli immigrati.
Io mi sono permessa, in cuor mio, di dedicare questa legge per cui abbiamo tanto fatto pressione, insieme a Fai Cisl e Uila, a tutte le lavoratrici e i lavoratori che non sono mai ritornati a casa. E sappiamo che purtroppo ne sono morti diversi, come Paola Clemente, o come uno dei tre braccianti afgani investiti lunedì nel barese.
Qualche anno fa la mobilitazione sindacale aveva portato all’approvazione del primo «pezzo» di questa legge, che aveva introdotto il reato di caporalato. Ma non bastava.
Ci sono già importanti processi, con caporali alla sbarra, ad esempio a Lecce e Taranto: da quelle storie emerge non solo lo sfruttamento, ma anche la crudeltà, la violenza, che contraddistingue spesso i rapporti con i lavoratori. Era importante però che il reato di sfruttamento, con le relative sanzioni e pene, fosse esteso anche agli imprenditori. È prevista anche la confisca dei beni patrimoniali, oltre che dei prodotti: in pratica si equipara questo tipo di reato, particolarmente odioso, alla mafia.
L’imprenditore verrà sanzionata anche se non si dimostra un rapporto diretto con i caporali?
Sì, perché vengono determinati i cosiddetti «indici di sfruttamento»: se un’ispezione ravvisa la mancata applicazione del contratto, l’imposizione di orari o di carichi di lavoro oltre il consentito, l’assenza di sicurezza, si può prefigurare a un certo livello il reato di sfruttamento. Segnalo che si tratta di una conquista per tutto il mondo del lavoro, non solo per il comparto agricolo, perché l’intermediazione illecita e lo sfruttamento possono essere sanzionati in tutti i settori. È un grande passo avanti per la civiltà del nostro Paese.
Viene anche rafforzata la Rete del lavoro agricolo di qualità, la lista di imprese in regola e certificate che dovrebbero fare da modello a tutte le altre. Ma sta funzionando?
Per il momento si sono iscritte poco più di 2200 imprese su un bacino potenziale di circa 100 mila, ma finora il lavoro è stato difficile perché questa struttura non ha una banca dati telematica. Noi speriamo appunto che l’implementazione prevista dalla legge poi si traduca in un reale rafforzamento della struttura, in modo da velocizzare le procedure.
Però manca il marchio di qualità, quello che avrebbe dovuto essere il «bollino blu» da apporre sui prodotti. Il consumatore così non potrà fare acquisti «etici», distinguendo una filiera pulita da una sporca. Il tema, tra l’altro, qualche tempo fa era stato posto anche da alcuni distributori scandinavi che comprano pomodori da noi. Non è un limite grave?
Certamente, questa è una lacuna evidente della legge, e noi continuiamo a invocare l’istituzione di un bollino di qualità, ovviamente con tutte le dovute certificazioni. Ma essendoci già la Rete, dovrebbe essere ancora più semplice.
Sul collocamento si fanno passi avanti?
La legge ha introdotto una sperimentazione che ci sembra importante: la messa in rete presso i Cisoa – i comitati paritetici imprese/sindacati che si occupano della cassa integrazione – dei centri per l’impiego, le agenzie di lavoro temporaneo, gli enti bilaterali, le liste presenti all’Inps o nei Comuni. In pratica l’imprenditore che vorrà essere in regola potrà rivolgersi a questi uffici e farsi fornire le liste di lavoratori disponibili, o prenotarli.
E i trasporti? Resta una nota dolente, uno degli «alibi» maggiori per il ricorso ai caporali.
Noi chiediamo che si applichi intanto il Protocollo firmato in maggio con quattro ministri – Interni, Giustizia, Lavoro, Agricoltura – cinque regioni e diverse province perché si utilizzino i 10 milioni di fondi europei Pon: sono stati messi a disposizione per stipulare convenzioni con aziende di trasporto pubblico o privato, ma i prefetti, che dovrebbero coordinare i tavoli locali, finora non si sono mossi. In Basilicata da 30 anni c’è un esempio virtuoso: le Linee agricole, limitate alla zona del Metapontino, ma molto utilizzate sia dai braccianti italiani che dagli immigrati. Sono finanziate da soldi pubblici e costano al lavoratore un biglietto di uno o due euro a seconda della distanza. Un prezzo, tra l’altro, inferiore a quello che viene chiesto illegalmente dai caporali.
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