Retromarcia Bersani, «scissione mai» Il No è il fischio d’inizio del congresso
Un passo avanti, due indietro. È bastata tornare a evocare sui giornali la scissione che Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza si sono precipitati in Transatlantico – ieri mattina – a spiegare ai cronisti che avevano capito male. «Nessuno mi butterà fuori dal mio partito, cioè da casa mia. Ci può riuscire solo la Pinotti schierando l’esercito», scherza amaro l’ex segretario. Anche il giovane ex presidente dei deputati esclude la rottura: «Qualunque sia l’esito del referendum lavorerò con tutte le mie energie per tenere unito il Pd. Per me la scissione non esiste».
Certo, il solitario colpo di teatro di Gianni Cuperlo – l’annuncio delle dimissioni da deputato se dovesse finire per votare no al referendum – ha messo tutti i suoi compagni in difficoltà. Grazie a quello che in pubblico viene definito «gesto generoso» nella giornata di ieri ha iniziato a spirare un venticello assai poco gentile nei confronti della minoranza Pd, un venticello che sussurrava: «Ma non dovrebbero dimettersi tutti quelli che hanno votato sì per tre volte alla modifica costituzionale ed ora invece si sono trasformati in attivisti del No?». Tesi inedita nel mondo democratico, ma evidente il contagio a 5 stelle avanza. Bersani gela i buttafuori: Cuperlo si dimetta, «ma dimettersi non è una linea politica. Qualcuno dovrà pur rimanere».
Rimarranno loro, dunque, quel che resta dei bersaniani, reduci dei tempi in cui erano maggioranza schiacciante: meno di tre anni fa. Oggi la minoranza è tormentata fra la fuga verso il nulla della propria base e la resistenza dei quadri desiderosi di rientrare in gioco,in qualche modo, al congresso del 2017. Dalla parte del tormento ci sono i «non comitati» dei Democratici per il No, ormai partiti e in rotta di allontanamento dal Pd. «Non sarò il portavoce del No», giura Bersani, ma «c’è un pezzo della nostra gente che stiamo perdendo. E non c’entrano i sondaggi che vengono citati sull’80 per cento del nostro elettorato pronto a votare Sì al referendum. Quei sondaggi comprendono tutti coloro che si dicono disposti a votare il Pd. Ma quanti erano quelli disposti a votare il Pd dopo le europee?».
Dalla parte della resistenza ci sono invece i parlamentari. Per i quali la scelta del No dovrebbe essere depurata dell’aura triste y final che i media le costruiscono intorno. «Non è che dopo il referendum sulla Repubblica i Dc che votarono monarchia sono andati via», ragiona ancora Bersani. E Nico Stumpo, ex uomo macchina dei suoi tempi, ricorda che «sulle questioni costituzionali non c’è alcun vincolo di partito». E dunque comunque vada il referendum non c’è nessun automatismo vverso la scissione. E nessuna ragione politica: se vincerà il No il Pd sarà investito da un ciclone in cui è difficile capire chi resterà in piedi; se vincerà il Sì forse sarà interesse di Renzi coprirsi il proprio fianco sinistro; motivo per il quale guarda di buon occhio i movimenti discreti intorno all’ex sindaco Giuliano Pisapia.
La minoranza resistente vuole fare la sua parte a congresso, e prendersi la sua quota di consenso: e di candidati. Contro «chi vuole semplificare all’eccesso con un’idea che rischia di tagliare le radici» rappresentando «chi pensa a un Pd che vuole una sinistra larga, un Pd che si offre al Paese come forza di governo ma non può fare tutto da solo», ancora Bersani. Anche lui ha incontrato Pisapia e anche lui lo guarda come possibile riferimento di una sinistra radical ma alleabile.
Quanto alla scelta del No, quella è presa. Anche se «un tavolo non si nega a nessuno». Ieri Speranza e Cuperlo hanno confermato la l disponibilità alla commissione proposta da Renzi per discutere di un nuovo Italicum, convinti però che sia Renzi a doversi fare carico della proposta. Anche perché nella riunione della direzione Pd si sono sentite idee diverse, almeno una per corrente. E ieri era tutto un fiorire di ipotesi e emendamenti alle ipotesi. Della commissione faranno parte il vicesegretario Lorenzo Guerini, il presidente Matteo Orfini (giovane turco), i capigruppo Zanda e Rosato (entrambi area Franceschini), e poi un esponente delle minoranze che sarà indicato oggi. Forse anche il ministro Martina vuol far sedere la sua componente al tavolo. Per la prima e unica volta che si riunirà, il tempo di prendere atto che non c’è più tempo.
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