by Mauro Caterina, il manifesto | 4 Ottobre 2016 9:37
POZNAM. La pioggia battente non ha scoraggiato i manifestanti. Un’enorme distesa di ombrelli copre piazza Adam Mickiewic. Strade bloccate al traffico e tram deviati per garantire il continuo afflusso di gente che non demorde.
È tanta la voglia di partecipazione. Lo si legge sui volti delle persone venute alla manifestazione vestite di nero, il colore del lutto, perché i primi a morire (se dovesse passare questa legge) sarebbero proprio i diritti delle donne polacche. Sotto gli ombrelli si possono osservare le facce delle nonne, delle figlie e delle nipoti. Tre generazioni di donne a confronto, unite oggi nella lotta e nell’indignazione verso una legge anacronistica e priva di senso. E accanto a loro ci sono i mariti, i compagni, gli amici, perché quella di oggi, in Polonia, non è solo una manifestazione in difesa dei diritti delle donne, ma soprattutto una battaglia di civiltà. A ribadirlo ci pensano gli interventi delle oratrici sul palco e i cori dei manifestanti.
Ci fermiamo a parlare con Magdalena Bilinska, 46 anni, traduttrice, che con il suo perfetto italiano ci spiega i motivi che l’hanno spinta a scioperare e recarsi alla manifestazione. «Personalmente sono contro la pratica dell’aborto. Sono cattolica e sono cresciuta all’interno di una famiglia cattolica, ma ciò non mi impedisce di essere contraria a questo disegno di legge. La Polonia è uno stato laico e non voglio che si trasformi in uno stato confessionale. Oltretutto che senso ha criminalizzare la scelta di una donna che vuole interrompere la gravidanza? Chi ha i soldi se ne va all’estero ad abortire, chi non ce li ha rischia di morire sotto i ferri delle mammane».
Secondo i dati del ministero della sanità, in Polonia ogni anno vengono praticati circa 1.000 aborti legali. La legge attuale (una delle più restrittive al mondo) prevede l’interruzione di gravidanza solo in caso di grave malformazione del feto, stupro, incesto e in caso di pericolo di vita per la madre. Il nuovo progetto di legge elimina le prime tre eccezioni e introduce pure il carcere (fino a cinque anni) per chi dovesse violare le regole. Si stima che annualmente vengano praticati tra i 150 e i 190 mila aborti clandestini e/o «esteri». Numeri che molte associazioni per i diritti civili dicono essere calcolati per difetto.
Tra i manifestanti iniziano a circolare sui cellulari le immagini che arrivano dalle altre città polacche. Impressionante il colpo d’occhio di Varsavia, con la centralissima piazza Castello piena all’inverosimile. E poi ancora Cracovia, Danzica, Breslavia. Decine di migliaia, forse centinaia, forse un milione di persone che riempiono le piazze di piccoli e grandi centri urbani sparsi in tutta la Polonia. Sui social circolano anche le immagini di Londra, Parigi e Berlino dove si trova una cospicua comunità di espatriati.
Nei giorni scorsi erano tanti gli interrogativi sul successo della protesta. In quante avrebbero incrociato le braccia per scendere in piazza e dire no alla legge stop aborcja? E inoltre, sarebbero state in grado le donne polacche di paralizzare il Paese come fecero le islandesi il 24 ottobre del 1975 e a cui oggi si ispirano? Sta di fatto che, nelle ultime due settimane, i numeri della mobilitazione sono cresciuti in maniera esponenziale.
Contro la legge non solo le associazioni femministe e i partiti dell’opposizione ma anche personaggi pubblici che non ti aspetti, come Marta Kaczynska, la figlia 36enne di Lech Kaczynski, il presidente polacco morto nella tragedia di Smolensk nel 2010, che considera la proposta di legge disumana.
La crociata antiaborto del governo polacco, rischia di trasformarsi in un boomerang. Da un lato, il partito ultraconservatore della premier Beata Szydlo deve pagare dazio ai gruppi fondamentalisti cattolici che lo hanno votato in massa alle ultime elezioni. Dall’altro, questa forzatura rischia di alienare il voto delle donne per i prossimi appuntamenti elettorali. Per non parlare delle ripercussioni internazionali se la legge dovesse passare. E che ci sia un forte imbarazzo nel governo lo si è visto di recente, quando Szydlo, alla domanda di un giornalista che le chiedeva un parere sulla controversa proposta legislativa, ha preferito non commentare.
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