by Luca Fazio, il manifesto | 21 Settembre 2016 10:02
“Questo accordo che riguarda più di due miliardi di cittadini – spiega Federica Ferrario – contiene misure che legano le mani a quegli stessi politici che dovrebbero applicare l’accordo sul clima di Parigi”
L’Unione europea non fa mistero dei suoi misteri. Li ostenta pure. Al capitolo trasparenza si legge: “Come tutti gli altri negoziati commerciali, i colloqui relativi al TiSA non si svolgono in pubblico e i documenti sono accessibili solo ai partecipanti”. Una bella lezione di democrazia. Il TiSA (Trade in Service Agrement – Accordo sugli scambi di servizi), come il più noto TTIP, è un accordo internazionale sul commercio che punta alla liberalizzazione dei servizi e vede impegnati nelle trattative a porte chiuse tutti i paesi dell’Unione europea, gli Stati Uniti e altri ventuno paesi (Australia, Canada, Cile, Taiwan, Colombia, Costa Rica, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Corea, Liechtenstein, Mauritius, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama, Perù, Svizzera e Turchia). La Cina ha chiesto di partecipare ai negoziati e L’Ue sostiene la sua candidatura.
Senza contare i cinesi, i cittadini interessati tenuti all’oscuro sono 2 miliardi e 100 milioni. Se dovesse entrare in vigore, questo accordo riguarderebbe il 70% del commercio mondiale di servizi. C’è una filosofia di fondo che fa da pilastro a questo trattato: ogni regolamentazione di fatto viene vista come una barriera al commercio mondiale. L’obiettivo è sempre il medesimo: multinazionali, grandi imprese e investitori privati vogliono avere le mani libere per entrare senza ostacoli normativi nei servizi pubblici degli stati (non più) sovrani. Naturalmente, secondo i tecnocrati dell’Unione europea, “aprire i mercati dei servizi significa promuovere la crescita e l’occupazione”.
I colloqui proseguono dal marzo 2013 e fino alla scorsa estate ci sono stati diciannove cicli di negoziati. La materia è complessa e non è stato fissato un termine ultimo per la conclusione del trattato, anche se gira voce che l’accordo potrebbe andare in porto alla fine di quest’anno. Sembra che alcuni capitoli verranno secretati per cinque anni anche dopo la firma dei paesi interessati. Non è solo il primato, è la dittatura del neo liberalismo sulla politica che non deve permettersi di danneggiare il libero commercio.
A rovinare il clima di fredda e cordiale cospirazione che si respira in questi giorni a Ginevra, dove è in corso il ventesimo round del negoziato, questa volta ci ha pensato Greenpeace Olanda rivelando una serie di documenti segreti relativi al capitolo sull’energia (www.tisa-leaks.org). Le eventuali mobilitazioni sono ancora da costruire, ieri alcuni attivisti si sono limitati a srotolare uno striscione con la scritta Don’t trade away our planet (non svendete il nostro pianeta). Secondo l’organizzazione ambientalista, che ha analizzato i documenti con la collaborazione di diverse Ong, l’allegato sui servizi energetici confermerebbe una clamorosa retromarcia rispetto agli impegni presi a livello mondiale sui temi ambientali ed energetici. Gli stati starebbero discutendo alcune misure che sono in evidente contraddizione con gli impegni presi a Parigi sui cambiamenti climatici. Sarebbe la rivincita delle energie fossili. “Questi testi – spiega Federica Ferrario, responsabile della campagna agricoltura e progetti speciali di Greenpeace – mostrano che, al pari di altri accordi commerciali, il TiSA contiene misure che legano le mani di quegli stessi politici che dovrebbero applicare l’accordo sul clima”.
Le trappole sono nelle clausole. Due in particolare allarmano Greenpeace. La cosiddetta clausola “ratchet” (una sorta di divieto a reintrodurre barriere commerciali), la quale “implicherebbe che servizi vitali come l’energia, l’acqua potabile e l’istruzione, se liberalizzati, non potranno più essere rinazionalizzati” (indipendentemente dalla volontà degli elettori). La clausola “standstill”, invece, renderà quasi impossibile regolamentare il settore privato proprio in questa fase delicata di lenta transazione energetica (stabilisce una regola secondo cui non si potrà “retrocedere” dal livello di liberalizzazione raggiunto di volta in volta, pena un ricorso ai tribunali). C’è dell’altro. Le aziende private di fatto sarebbero coinvolte nella stesura dei nuovi regolamenti commerciali che le riguardano, limitando la supervisione dei governi e la stessa democrazia. Inoltre, “nessuna distinzione potrà essere fatta tra fonti energetiche meno impattanti e combustibili fossili più nocivi, rendendo impossibile una graduale eliminazione di quelle più dannose come il carbone, il petrolio estratto da sabbie bituminose e lo shale gas”.
Lo strapotere delle aziende sancito dal TiSA non riguarda solo il settore energetico. “Google e Facebook – conclude Federica Ferrario – non dovrebbero stabilire le regole sulla privacy e le banche non dovrebbero autoregolamentarsi. Sapere che l’industria dei combustibili fossili potrebbe essere tra i protagonisti della redazione di policy ambientali è una contraddizione. Sarebbe come chiedere all’industria del tabacco di scrivere le norme sulla salute. Queste decisioni devono essere prese dai cittadini tramite i governi che hanno democraticamente eletto, non dalle aziende”. Per questo Greenpeace chiede che vengano “immediatamente sospese” le trattative su TiSA, TTIP e CETA (l’accordo tra Ue e Canada che sarà discusso venerdì a Bratislava dai ministri europei al commercio): “Invece di sacrificare la tutela dell’ambiente a beneficio delle grandi aziende, tutti i nuovi accordi devono focalizzarsi su trasparenza e lotta ai cambiamenti climatici”.
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