Fertilità? E’ ora di un Governo day
Il Governo ha finalmente scoperto la causa del crollo delle nascite. Era sotto gli occhi di tutti, ma serviva la sensibilità di una donna alla guida del ministero della Salute per denunciarlo: le donne italiane non fanno più figli perché non sanno che i figli vanno fatti entro una certa età.
E dire che sono istruite: il tasso di giovani donne laureate è di gran lunga superiore a quello degli uomini e abbiamo una media di laureate in discipline tecniche e scientifiche in linea con i picchi della Svezia, dove infatti le donne hanno compreso da tempo la fisiologia dell’apparato riproduttivo femminile e per questo fanno i figli a 20 anni. Eppure, le donne italiane capaci di scomporre un vettore e sequenziare il Dna, sembrano ignorare l’elementare processo di esaurimento della riserva ovarica.
Per ovviare a questa lacuna cognitiva e rilanciare un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa, il Governo ha istituito il Fertility Day: una giornata di sensibilizzazione volta a informare le donne che «La bellezza non ha età, la fertilità sì», come recita lo slogan sulla locandina dell’iniziava.
Per delucidare il concetto a chi non parla inglese – «Giornata Nazionale Della fertilità» non entrava nell’Hashtag, inoltre il marchio risultava già depositato alla Siae nel 1927 da Benito Mussolini – c’è la foto di una donna che con una mano si accarezza la pancia e con l’altro brandisce la clessidra.
In attesa che il ministero dell’Ambiente istituisca l’Earth Rotation Day per informare quanti ignorano che la Terra si muova intorno al sole e per questo si ostinano a vivere in zone sismiche, conviene avvicinarsi a questo 22 Settembre con la mente sgombra dalle teorie dietrologiche e complottiste che per anni hanno imperversato in rete adducendo ai motivi più fantasiosi il crollo delle nascite.
Se fosse vero che in Italia le donne fanno i figli sempre più tardi – o non li fanno proprio – per paura di perdere il lavoro, dato che una donna su quattro esce dal mondo del lavoro dopo la prima gravidanza e nella metà dei casi non si tratta di una libera scelta ma di madri che vengono licenziate o di precarie alle quali non viene rinnovato il contratto; se fosse vero che le donne non fanno i figli perché al nido c’è posto solo per un bambino su quattro; se fosse vero che le donne sono scoraggiate dalla difficoltà di conciliare il lavoro con i tempi di cura della famiglia poiché anche quando lavorano occupano per le faccende domestiche una fetta di tempo molto superiore a quella dei loro compagni (quasi 5 ore e mezzo a fronte di un’ora e mezzo degli uomini.
I quali, del resto, non utilizzano quasi mai i congedi parentali, i quali del resto sono stati resi obbligatori solo nel 2012 dal governo-Monti che, per favorire una più equa distribuzione del lavoro di cura dei figli tra i genitori, ha istituito l’obbligo di congedo per i padri. Della durata di un giorno: non di più, perché poi il pannolino puzza troppo e bisogna che torni la madre a cambiarlo); se fosse vero, infine, che conciliare maternità e lavoro è un’impresa perché sono poche le donne che hanno la possibilità di lavorare part-time (la percentuale di donne che lavora a orario ridotto è al di sotto della media europea e per una lavoratrice su due non è una libera scelta, che il part-time, partendo da retribuzioni piene del 30% inferiori a quelle degli uomini, è un lusso che puoi permetterti solo se non devi mantenere un figlio); se fosse vero il governo avrebbe istituito un Governo-Day, una giornata volta a sensibilizzare i ministri informandoli di quante cose potrebbero fare per incentivare la natalità.
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