Eppure la Joint Terrorism Task Force, il superbureau coordinato dall’Fbi, sta già indagando sul peggiore degli scenari. Cercando di capire se c’è una relazione tra tre diversi attacchi. Cioè l’esplosione di Chelsea seguita dal ritrovamento di una micidiale pentola a pressione qualche isolato più in là, un ordigno scoppiato senza vittime sempre sabato nel New Jersey e l’altro attentato questo sì rivendicato dall’Isis: l’accoltellamento di 9 persone in un mall del Minnesota che si sarebbe trasformato in una strage se l’uomo che gridava Allah Akbar non fosse stato freddato dalla polizia. Un’ipotesi, quella dell’offensiva islamica su New York, rinforzata anche da un biglietto in arabo che sarebbe stato ritrovato insieme al secondo ordigno di Chelsea. All’esame degli investigatori anche un video in cui si vede un uomo «lasciare qualcosa dentro o vicino un cassonetto sulla 23esima».
Al vaglio del New York Police Department c’è anche la rivendicazione apparsa su Tumblr di un uomo che si firma “il bomber di New York” e dice — promettendo nuovo attacchi — di avere agito nel quartiere simbolo della comunità gay americana «per denunciare la società omofobica». È credibile? Secondo il New York Post sarebbe proprio lui l’autore delle tre bombe e su di lui si starebbero ora stringendo le indagini della polizia. Pista interna contro pista islamica? Isis o cani sciolti?
Nella notte si rincorrono le voci. Il ritrovamento di un veicolo a Chelsea. La ricerca di tre sospetti. La polizia continua ad appellarsi ai cittadini: chi ha visto parli. A una decina di metri da dove passava Sam, alle 8 e 30 di sabato sera, c’era ance Federica Valabrega, 33 anni, fotografa, da molti anni a New York. «Camminavo con due amici americani verso Eataly. Eravamo a circa 200 metri ma per fortuna avevamo appena deciso di attraversare la strada. Così quando la nuvola nera di fumo e i detriti ci ha investiti eravamo un po’ più in là rispetto a tanti altri. Siamo scappati nella direzione opposta riparandoci dietro l’angolo di un supermercato ». Il primo ordigno ha ferito 29 persone — già tutte dimesse — ed è scoppiato in un cassonetto sulla 23esima proprio a due passi dal Chelsea Hotel, per decenni cuore bohémienne di Manhattan (e casa di Leonard Cohen). La zona era affollata come ogni sabato sera e la movida non s’è spenta neppure quando a pochi metri, 27esima strada, sempre tra Sesta e Settima, gli artificieri hanno trovato la pentola a pressione da cui fuoriuscivano fili collegati a un cellulare. I due ordigni sarebbero dello stesso tipo: fatti in casa con una tecnica simile a quella usata dai fratelli ceceni Dzhoklar e Tamerlan Tsarnaev nell’attentato alla Maratona di Boston del 2013, 3 morti. «Si tratta di un atto volontario» ha detto già sabato sera il sindaco di New York Bill de Blasio, accorso sul posto col nuovo capo della polizia James O’Neill entrato in carica appena venerdì.
La prudenza del sindaco («Non sappiamo se la motivazione è politica o personale») si scontra però con la paura che riesplode nella Grande Mela a pochi giorni dall’anniversario dei 15 anni dell’11 settembre. E soprattutto alla vigilia dell’Assemblea dell’Onu dove oggi è atteso tra i tanti leader anche il premier Matteo Renzi. «Abbiamo rafforzato la sorveglianza mettendo in campo altri 1000 uomini» fa sapere Cuomo. «Anche se non fermeremo la vita della città». Restano chiuse solo le stazioni metro sulla 23esima e 28esima. New York non si ferma. E i newyorchesi reagiscono come solo qui sanno fare. Ieri i tavolini all’aperto dei caffè di Chelsea erano affollatissimi per il brunch a pochi metri dai sigilli “Do Not Trespass” della poliza. Tonia Sharky, 44 anni, osserva la folla dei curiosi all’angolo del luogo dell’attentato. «Sono qui con le mie figlie di 13 e 15 anni. Abitiamo a un blocco di distanza e ieri abbiamo sentito l’esplosione, poi le sirene delle ambulanze e della polizia. Se oggi avessi paura non mi sarei avvicinata. New York sa resistere. Nessuno ci può fermare».