by il manifesto | 30 Settembre 2016 8:47
A quattro anni dalla laurea, quella triennale, in Italia sono precari uno su due: il 52,8%. Il lavoro “non stabile” coinvolge invece il 41,9% dei laureati di secondo livello (33,8% per gli uomini) Nel 2015 il 63,2% dei diplomati aveva un’occupazione «non stabile». Si lavora con quello che offre il supermarket italiano del precariato: contratto a tempo determinato, contratto a progetto, di prestazione d’opera, voucher, borsa di studio/lavoro. E, ovviamente, senza contratto. Ancora stabilmente un’eccellenza nel paese del Jobs Act (l’ 8,7% nel caso dei diplomati).
Lo sostiene l’Istat nel sesto rapporto «I percorsi di studio e lavoro dei diplomati e laureati». L’indagine è stata effettuata su un campione selezionato fra coloro che hanno conseguito il titolo di studio nel 2011 e si riferisce al 2015. La situazione occupazionale dei diplomati conferma l’andamento discendente già registrato in precedenza dall’Istat: nel 2015 lavora il 43,5% dei diplomati, nel 2011 era il 45,7%. Gli uomini che lavorano sono sempre meno, 46,8% rispetto a 51,2% del 2011, mentre la quota di donne lavoratrici è rimasta stabile (40,4%). Il calo di occupazione tra gli uomini non è compensato da una maggiore propensione a proseguire gli studi (la quota di studenti è invariata a 30,7%), bensì da un aumento di chi cerca di lavoro (19,6% rispetto a 14,2% del 2011). Sul versante femminile diminuiscono le donne che investono nell’istruzione terziaria (31,8% rispetto a 36,4% nel 2011) e aumentano quelle alla ricerca di un impiego (23,9% rispetto a 18,1%).
Bisogna tener conto che quasi due terzi dei diplomati tentano la strada dell’università. Il 37,3% dei diplomati, al momento dell’indagine, era in attesa di conseguire un primo titolo universitario. E tuttavia anche qui c’è una variazione in negativo. Nel 2015 il 48,3% dei diplomati del 2011 è impegnato nel percorso universitario (50% nel 2011). Queste dinamiche si riflettono sulla quota di attivi sul mercato del lavoro (coloro che hanno un lavoro o lo cercano attivamente). Il divario di genere a svantaggio delle donne si è ridotto: la quota di attivi è di poco più alta tra gli uomini (66,5% contro 64,2%) solo perché aumentano le donne in cerca di lavoro. Di conseguenza è in crescita il tasso di disoccupazione: a quattro anni dal diploma è in cerca di un lavoro il 33,4% della popolazione attiva (26,2% nel 2011).
In tutti i casi la scelta dello studio è pesantemente condizionata da precarietà e povertà. L’abbandono degli studi ha interessato l’8% dei diplomatiche non hanno conseguito un titolo. La ragione è che devono trovarsi un lavoro. Nel 32,9% dei casi gli uomini scelgono di dedicarsi alla sua ricerca, il 23,2% le donne. C’è chi sostiene di aver trovato gli studi troppo difficili (18,9% uomini e 16,3% donne), ma anche di avere avuto difficoltà a sostenere le spese universitarie e di mantenimento (9,4% e 11,5%). Tra i diplomati occupati netta è la prevalenza del lavoro autonomo. Ci sono quelli che si definiscono per lo più liberi professionisti (40,5%) e lavoratori in proprio, titolari di piccola impresa, commercianti, artigiani, coltivatori diretti (39,6%); il 17,4% è coadiuvante nell’azienda di famiglia. Chi svolge un lavoro autonomo si è detto in media più soddisfatto degli altri lavoratori «non stabili». Il futuro è incerto: il 58% non sa prevedere nulla.
I diplomati hanno un reddito mediano di 850 euro mensili, al netto delle tasse. Le donne guadagnano 683 euro al mese, gli uomini mille. Da tirocini, stage, praticantato, guadagnano tra 400 e 500 euro. Per i laureati possibilità di occupazione alta nei settori difesa e sicurezza, medico e ingegneria dove la retribuzione netta mediana mensile è superiore a 1.400 euro. Più bassa è l’occupazione nei gruppi letterario e politico-sociale.
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