Il Jobs Act è tutto un flop

Il Jobs Act è tutto un flop

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Fine annunciata di una «riforma strutturale» buona per essere presentata ai tavoli con Bce e Germania. Pioggia di bonus e populismo a favore delle imprese: dieci miliardi di euro volatilizzati

Finiti gli incentivi, crollano le assunzioni del Jobs Act. Lo ha confermato, ancora una volta ieri, l’Osservatorio sul precariato dell’Inps secondo il quale nei primi sette mesi del 2016 il saldo tra cessazioni e contratti a tempo indeterminato è pari a 76.324 mila, l’83,5% in meno rispetto all’anno scorso, quando gli sgravi fiscali per i nuovi assunti con il «contratto a tutele crescenti» era più alto. A conferma del fallimento del Jobs Act può essere utile anche la comparazione con i dati del 2014 quando gli sgravi regalati alle imprese non c’erano ancora.

Due anni fa il saldo sui rapporti a tempo indeterminato era positivo: +129.163 unità. Gli oltre dieci miliardi di euro pubblici elargiti in tre anni dal governo Renzi alle imprese non sono serviti nemmeno a migliorare il dato del 2014, uno dei peggiori anni della crisi. Il rallentamento delle assunzioni ha coinvolto i due pilastri sui quali ha fondato la propria politica occupazionale: calano i contratti a tempo indeterminato (-379 mila pari a – 33,7% rispetto ai primi sette mesi del 2015) e le trasformazioni di contratti precari precedenti in contratti a tempo indeterminato (-36,2%).

Dopo il taglio dell’incentivo per le assunzioni – oggi è al 40% entro il limite annuo di 3.250 euro e durerà due anni e non tre- i rapporti di lavoro agevolati rappresentano il 32,3% del totale delle assunzioni/trasformazioni a tempo indeterminato. Nel 2015 era al 60,8%. Oltre due terzi delle nuove assunzioni a tempo indeterminato ha riguardato operai (539.330 su 743.695) mentre gli impiegati assunti stabilmente sono stati 188.171. Fino al luglio le assunzioni con esonero contributivo biennale sono state 227mila, le trasformazioni dei rapporti a termine che beneficiano del medesimo incentivo sono 71mila.

Il totale è 298 mila rapporti di lavoro agevolati. Teniamo bene a mente questa cifra – per la quale Renzi ha fatto spendere miliardi – e confrontiamola con il dato complessivo delle assunzioni a tempo determinato nel settore privato: due milioni e 143 mila in sette mesi, in linea con il 2015 (+ 0,9%) e in crescita rispetto al 2014 (+ 3,5%).

Complessivamente le assunzioni tra gennaio e luglio sono state 3 milioni e 428 mila, comprensive anche di 408 mila stagionali. Rispetto al 2015 la perdita è stata del 10% secco, 382 mila unità, la maggior parte delle quali hanno coinvolto i contratti a tempo indeterminato (-379 mila), i contratti che il governo ha voluto incentivare con la sua scriteriata politica dei bonus.

Continua il boom dei voucher, la principale innovazione prodotta dal Jobs Act che ne ha esteso l’ambito di applicazione: fino a luglio sono stati venduti 84,3 milioni buoni dal valore nominale di 10 euro con un incremento del 36,2% rispetto ai primi sette mesi del 2015. Si tratta di una «frenata» rispetto alla crescita del 73% registrata nel 2015 rispetto all’anno precedente. Si conferma la tendenza dell’impresa all’uso dell’ultima forma di precarizzazione assoluta: il sistema ha ormai trovato un equilibrio e usa le prestazioni di lavoro occasionali al posto di quelle a termine. Il destino del contratto di lavoro è segnato: sarà sostituito da uno «scontrino» acquistabile dal tabaccaio.

Questi dati permettono di spiegare in un altro modo l’aumento dell’occupazione registrata pochi giorni fa dall’Istat (+189 mila unità nel secondo trimestre 2016) e festeggiato, in maniera a dir poco avventata, dal governo.

I dati dell’Inps (e del ministero del lavoro) registrano i flussi tra un contratto attivato e un altro cessato.

Quelli dell’Istat fotografano invece gli stock, la quantità di chi è al lavoro in un determinato momento.

Le rilevazioni registrano i movimenti compiuti entro la settimana precedente: si è occupati anche se si acquista un voucher. Qui la quantità non risponde a nessun criterio di qualità. Ciò che conta per il governo è creare un movimento artificiale dei contratti in modo tale che le statistiche lo registrino. Con questi dati l’esecutivo può sedersi ai tavoli europei e fingere che il mercato del lavoro sia in ripresa. A tutti fa comodo crederci: ieri anche il governatore della Bundesbank Jens Weidmann ha dato il suo ok al Jobs Act. Le cose stanno diversamente: il governo non rinnoverà gli incentivi nella prossima legge di bilancio, tranne che per giovani e assunzioni nel Sud.

«I voucher fanno statistica ma non fanno occupazione. Finiremo l’anno con 140 milioni di euro di voucher e non è una cosa accettabile. Bisogna assolutamente mettere mano a questo meccanismo – sostiene Pierluigi Bersani (Pd) – Il jobs act ha bisogno di una messa a punto, ci sono problemi serissimi come quelli che riguardano le trasformazioni in contratti a tempo indeterminato che sono meno di quando c’era l’articolo 18 e di quando non c’erano gli incentivi».

«Il Jobs Act è un nuovo bluff di Renzi. I miliardi che è costato potevano andare a chi è in povertà» sostengono i parlamentari Cinque Stelle.

«Questa riforma ha destrutturato i diritti del lavoro. L’aumento dei voucher è il frutto del totale spostamento verso il lavoro nero, non dichiarato e senza tutele» afferma la segretaria della Cgil Susanna Camusso.

«La liberalizzazione dei voucher genera una valanga sempre più grande di precarietà – sostiene Stefano Fassina (Sinistra Italiana) – e spinge alla riduzione delle retribuzioni».

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