La legge elettorale bocciata dalla Consulta la paura che agita i palazzi della politica
by CLAUDIO TITO, la Repubblica | 12 Settembre 2016 8:16
C’È UN fantasma che si aggira tra i palazzi della politica. Si sta materializzando tra i corridoi della Camera e del Senato. Ma soprattutto si è insediato a Palazzo Chigi. La bocciatura, almeno parziale, dell’Italicum da parte della Corte costituzionale. La Consulta, infatti, è convocata per il prossimo 4 ottobre. E dovrà esaminare i ricorsi presentati da alcuni tribunali.
TRIBUNALI, Messina e Torino in primo luogo, chiedono di valutare la costituzionalità del sistema entrato in vigore lo scorso luglio.
Al di là dello scontro in corso tra le forze politiche, in realtà tutti hanno puntato il proprio mirino verso i giudici della Suprema corte. Nella convinzione che la sentenza possa assestare un colpo alla legge elettorale. Che, peraltro, non è stata ancora messa alla prova concretamente.
L’allarme è dunque scattato. Anche perché a palazzo della Consulta è già emerso l’orientamento ad assumere una decisione in tempi brevi. Non intendono seguire un iter temporale diverso da quello di due anni fa, quando venne totalmente cassato il cosiddetto Porcellum. Insomma, i giudici vogliono fare presto, per non lasciare aperto il caso ed esporsi alle polemiche per un tempo indefinito. Soprattutto se nel frattempo non si aprisse un vero tavolo di confronto in Parlamento per modificare L’Italicum. In quel caso i giudici potrebbero trovare il pretesto per far slittare la sentenza. «Ma è evidente che se Renzi volesse davvero correggere subito la legge — osserva con una punta di pessimismo Roberto Speranza, depositario della proposta che prevede il sostanziale ritorno al Mattarellum, ossia ai collegi uninominali — avrebbe dovuto farlo alla Festa dell’Unità. Così non è stato. Anzi, ha compiuto un passo indietro». Quindi tutto appare ancor di più rinviato alle scelte della Consulta.
Il dossier Italicum è nelle mani di Nicolò Zanon, giudice nominato nel 2014 dall’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. È il relatore che deve istruire la pratica su tutti gli “atti di promovimento” presentati contro la legge elettorale. E può contare sul precedente, appunto, di due anni fa quando venne bocciato il Porcellum. Le direttrici di quella sentenza costituiscono le linee guida anche del giudizio sull’Italicum. E, si fa notare, proprio il dispositivo messo a punto dalla corte nel 2014 sta spingendo verso un esame critico della legge.
Il “fantasma” che si aggira tra i palazzi della politica sta quindi prendendo tre nomi: “Quinto motivo”, “Sesto motivo” e “Ottavo motivo”. Di cosa si tratta? Di tre rilievi presenti in particolare nell’ordinanza emessa dal Tribunale di Torino, proprio nei primi giorni del luglio scorso. Sono argomentazioni — al centro della discussione informale già in corso nella Consulta — con cui si pongono all’attenzione gli aspetti critici ma centrali del sistema elettorale vigente. Il premio di maggioranza, il divieto di apparentamento (cioè di alleanza) tra partiti al ballottaggio e le cosiddette candidature plurime (la possibilità di presentarsi in più collegi). Nei Palazzi che contano è ormai maturata la convinzione che il ricorso formulato dai magistrati di Messina (il primo in ordine temporale) possa essere inammissibile perché presentato prima dell’entrata in vigore del’Italicum (il 1 luglio). La conseguenza, però, è che gli appunti più problematici sono semplicemente riferiti al ricorso torinese, elaborato invece il 5 luglio.
Le toghe piemontesi, come quelle di Messina e di Perugia, hanno sottolineato in maniera particolare nel “Quinto motivo” il rischio di incostituzionalità del premio di maggioranza assegnato al partito che supera il 40% al primo turno o che vince al ballottaggio. Viene evidenziata l’assenza di una base minima per accedere al secondo turno, una «soglia critica di consensi» senza la quale il premio non garantisce «l’effettiva valenza rappresentativa del corpo elettorale». Le attenzioni poi si stanno concentrando su un’altra questione: l’espresso divieto di apparentamento. «Tale divieto — si legge nell’ordinanza piemontese — risulta irrazionale ». Il sommarsi di questi due richiami è il vero incubo che agita i sonni della maggioranza. Molti, infatti, si sono persuasi che la Consulta sia orientata ad accogliere una o entrambi le eccezioni. Modificando così il cuore dell’Italicum, che si basa sul premio di maggioranza e sulla vittoria di una sola lista e non sulle coalizioni. Una ipotesi che costringerebbe il segretario del Pd, Matteo Renzi, a cambiare completamente la sua strategia in vista delle prossime elezioni politiche, fissate per il momento nel 2018.
L’altro aspetto, che però avrebbe un impatto politico inferiore, riguarda le candidature multiple, l’”Ottavo motivo”. Anche in questo caso Montecitorio e Palazzo Madama, si sono convinti che potrebbe esserci un intervento della Corte a favore dell’indicazione di un criterio minimo nella scelta del collegio di elezione. Per ripristinare la volontà dell’elettore dovrebbe essere introdotta una prescrizione che stabilisca come collegio di adozione quello in cui il candidato ha ricevuto più voti. Nel Pd e a Palazzo Chigi, dunque, hanno iniziato a freddo i conti con la possibilità che tra tre settimane il quadro del sistema elettorale cambi del tutto. «Se così sarà — dicono a Largo del Nazareno — metteremo mano all’Italicum e nessuno ci potrà accusare di averlo cambiato perché abbiamo paura di perdere le elezioni”.