by Andrea Colombo, il manifesto | 6 Settembre 2016 9:41
A volte sembra quasi che Virginia Raggi sia la peggior nemica di se stessa. Lo farà apposta a fornire al Pd e al codazzo di giornali che volentieri amplificano, argomenti a prima vista affilatissimi?
Provano a crocefiggerla per mesi con lo studio Sammarco: lo sanno tutti che è come dire Previti anche se il legale di don Cesare non è Pieremilio, l’ex datore di lavoro di Virginia, ma il fratello Alessandro. Lei per tutta replica fa proporre a Raffaele De Dominicis l’assessorato al Bilancio proprio dal presunto sodale di Cesarone.
La massacrano per la nomina come assessore all’ambiente di Paola Muraro, in odor di commistione con una delle peggiori bestie nere del M5S e dei romani tutti, Manlio Cerroni, nonché proprio per questo indagata? Lei, salvo improbabili ripensamenti, fa scudo all’indagata nemmeno fosse sua sorella di sangue.
Incappa in una serie di dimissioni che nemmeno nel peggiore tra i tamponamenti a catena e, invece di spiegare e giustificare, liquida il fattaccio con serafico disprezzo: «Abbiamo già trovato qualche piccola resistenza ma non ci spaventiamo».
Il diluvio di bordate mitragliate dal Pd, con tanto di solenne conferenza stampa dell’ex rivale Roberto Giachetti, era prevedibile sin nelle virgole: «Agli ordini dello studio Sammarco», «Scontro tra due studi legali: Casaleggio e Sammarco». La tonalità di fondo è sempre la stessa, ripetuta a volontà in campagna elettorale: Virginia Raggi mammola eterodiretta, non si sa più bene se dal figlio del guru Casaleggio o dal principe del foro romano. E’ una filastrocca che non coglie nel segno, e a mesi dall’entrata in scena della sindaca di Roma sarebbe ora di capirlo, indipendentemente dal giudizio sulle sue scelte o sulle sue nomine. La prima cittadina tutto è tranne che una sprovveduta. Sa perfettamente in mezzo a quali correnti travolgenti sia destinata a navigare e da quali scogli traditori debba guardarsi. Sa, per esempio, di avere contro un tritacarne mediatico al quale basta concedere un dito per ritrovarsi poi stritolati, proprio come è capitato a Ignazio Marino. Se ha scelto di non permettere mai alle campagne mediatiche di condizionarla, persino quando quelle campagne hanno qualche argomento reale da spendere come nel caso di Paola Muraro, è perché si rende conto che il cedimento non placherebbe il branco, anzi.
Se fa quadrato anche quando la resistenza sembra inspiegabile, come nel caso del discusso e discutibile Raffaele Marra, è perché conosce il Movimento di cui è ormai esponente di punta, e capisce che se vuole affermarsi come una leader alla pari di Di Battista e Di Maio deve fermare sul nascere ogni ingerenza: farlo dopo aver mollato qualche volta di troppo sarebbe inutile. Da questo punto di vista il braccio di ferro che sembra profilarsi con il direttorio su Muraro sarà decisivo.
Virginia Raggi non è arrivata al Campidoglio, contrariamente a quanto molti fingono di credere, immaginando di approdare nel paese dei balocchi. Non ignorava le difficoltà oggettive del compito e neppure quanto numerosa sarebbe stata la legione dei nemici decisi a sgambettarla. Aveva e ha in mente una strategia precisa, quella che ha ripetuto ieri nel videomessaggio sul blog di Grillo: scommettere tutto sui risultati in modo da volgere a proprio vantaggio anche gli attacchi, dimostrandone nei fatti la strumentalità.
Il nuovo assessore sarà anche stato contattato da Sammarco, però vanta una fisionomia perfetta per l’M5S. Evitare dubbi su Paola Muraro è impossibile, la stessa sindaca se ne accorge e mette le mani avanti: «La contestazione per ora è troppo generica. Appena sapremo meglio prenderemo provvedimenti». Ma nessuno può negare che l’emergenza rifiuti di luglio, creata sabotando dagli uffici della Regione l’appalto alla ditta tedesca che avrebbe dovuto trasportare all’estero l’eccedenza, sia stata risolta con successo. Come non si può negare che la sindaca abbia fronteggiato l’ondata di dimissioni con una tempestività che le faceva difetto due mesi fa. Scommettere sui risultati a Roma è un grosso azzardo. Ma è su questo azzardo e non su altro che Virginia Raggi gioca il futuro politico suo e in buona parte anche dell’M5S.
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