by Luca Tancredi Barone, il manifesto | 3 Settembre 2016 9:04
Erano quasi cinque anni che Mariano Rajoy non perdeva una votazione in Parlamento. Alla sua età, costa un po’ abituarsi all’idea che le cose ormai sono cambiate. Perché in 2 giorni, mercoledì e ieri sera, il Congresso dei Deputati ha confermato che la maggior parte degli spagnoli e dei suoi rappresentanti non lo vuole come presidente. Nel secondo voto alla sua investitura, in cui gli sarebbe bastata la maggioranza semplice, Rajoy ha ricevuto gli stessi No di 48 ore prima: 180 contro i 170 sì dei deputati popolari, dei sempre meno convinti deputati di Ciudadanos e della solitaria rappresentante di Coalición Canaria.
Il dibattito, stavolta in versione più breve, non ha presentato novità: Rajoy ha attaccato Sánchez, accusandolo di volere nuove elezioni, sostenendo che il partito socialista è un «alleato imprescindibile» per le «grandi questioni» che toccano gli spagnoli, proprio come quando Zapatero gli chiese appoggio per l’infausta modifica costituzionale per introdurre la stabilità finanziaria e il pagamento del debito pubblico come prioritario rispetto a qualsiasi altra spesa e lui gliela concesse senza colpo ferire. E ha osservato che Sánchez dice di No, ma non ha offerto alternativa, perché «non è possibile». Cioè: ha continuato a cercare di sfruttare le contraddizioni interne socialiste, ma senza nessuna offerta significativa.
Da parte sua, Sánchez ha confermato il suo No, ma stavolta, dopo la solita tiritera sul malgoverno popolare, ha aperto un piccolo spiraglio che ciascuno può leggere come meglio crede: «le forze del cambio hanno la responsabilità di offrire una soluzione al paese». Come, non è dato sapere, ma oggi si riaprono i giochi. Lo stesso Albert Rivera di Ciudadanos ha fatto capire chiaramente che, dopo la seconda bocciatura di Rajoy di ieri, e la quarta bocciatura di seguito di un candidato a presidente (dove Ciudadanos ha sempre votato a favore), loro sono disponibili a votare qualsiasi soluzione per sbloccare la situazione. Il tutto mentre Pablo Iglesias ha chiesto ancora una volta ai socialisti di costruire un accordo con Unidos Podemos, e lo ha ringraziato di non aver ascoltato i soloni del partito che chiedevano l’astensione. Nel solito stile allusivamente aggressivo: «magari è l’ultima volta che potete essere a capo di un governo decente».
Ed è ormai chiaro che se si vogliono evitare le terze elezioni, restano solo due opzioni. Infatti, è evidente che non esiste alcun margine perché il Psoe si astenga per un eventuale governo Rajoy e che il Partito nazionale basco, su cui sembrava che il Pp volesse contare dopo le elezioni locali del 25 settembre, non lo «appoggerà né oggi né dopo il 25 settembre», come ha chiarito ieri il suo portavoce. Pertanto le due opzioni sono che Rajoy ingoi l’umiliazione di farsi indietro e di lasciare il passo a un altro candidato (o candidata) popolare, o che davvero Pedro Sánchez si faccia avanti e cerchi di trovare un difficile accordo con Unidos Podemos (e molti altri partiti, tra cui quelli favorevoli all’invisa autodeterminazione catalana e basca). Altrimenti, le elezioni saranno l’unica via d’uscita. Tra l’altro, ieri per la prima volta il Pp ha ammesso che sono disponibili a fare in modo, attraverso una modifica della legge elettorale express, che non si voti il giorno di Natale: per cui non si capisce perché hanno deciso di fissare la data di investitura in questo modo. O meglio: è la conferma che era solo un ricatto agli altri partiti. Un ricatto non riuscito.
Dei due scenari altamente improbabili per evitare le terze elezioni in un anno, sembra avere qualche chance in più quello del cambio di cavallo. Per la prima volta ieri l’ha chiesto, fra gli altri, esplicitamente il socialista Felipe Gónzalez. Con un gioco di parole, ha detto che Rajoy è «il candidato più votato ma anche il più vetado». Se a questo si aggiungono la notizia di ieri che Ciudadanos ha confermato (prima del voto), pur con mille caveat, che sarebbe disposto persino a ingoiare un appoggio degli odiati nazionalisti baschi del Pnv, e le parole usate da Albert Rivera, che appoggerebbero «un’alternativa concreta» a Rajoy, sembra proprio che la prossima puntata sia la nomina da parte del re di un altro candidato popolare.
Settembre apre molti fronti. A parte le elezioni in Galizia a Paesi Baschi del 25 settembre, l’11 c’è l’annuale appuntamento con la Diada catalana, il giorno dedicato alla comunità della Catalogna che da anni è la scusa per portare in piazza centinaia di migliaia di persone che chiedono l’indipendenza. Senza dimenticare che il paese continua ad arrancare: di ieri la notizia che l’80% del lavoro creato per la stagione estiva è già stato distrutto.
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