by Chiara Cruciati, il manifesto | 1 Settembre 2016 9:41
Gli ultimi mesi di amministrazione Obama e l’ultimo fallimento mediorientale: la strategia statunitense in Siria si sta sgretolando. Le macerie sono disseminate nel corridoio che va da Afrin a Jazira, nord del paese, confine con la Turchia. Qui si concentrano tutte le contraddizioni della guerra e della vacillante rete di alleanze che cinque anni di conflitto non hanno cristallizzato.
In poche settimane si è assistito a cambi di casacca repentini, spiegabili con l’emersione di nuovi interessi regionali e globali. Il riavvicinamento tra Turchia e Russia ha aperto al dialogo tra Ankara e Teheran e all’impensabile compromesso – a cui il governo turco è ormai pronto – sul destino del presidente siriano Assad. Negoziati dietro le quinte che hanno come comune denominatore il soggetto sacrificabile, i kurdi di Rojava.
Il rigetto sprezzante da parte turca dell’annuncio Usa di cessate il fuoco con le forze kurde è l’esempio concreto delle difficoltà statunitensi a gestire gli amici e a contenere gli avversari. Martedì pomeriggio la coalizione anti-Isis aveva dato per raggiunta una tregua «approssimativa» tra esercito turco e Ypg kurde.
I kurdi hanno subito accettato; Ankara ha aspettato qualche ora prima di smentire l’alleato: «Non accettiamo in nessuna circostanza un compromesso o un cessate il fuoco con elementi kurdi – ha sentenziato Omer Celik, ministro per gli Affari Ue – La repubblica turca è uno Stato sovrano e legittimo. Non si può dire che abbia raggiunto un accordo con dei terroristi».
Non ha mancato di intervenire il premier Yildirim, ottima spalla per Erdogan dopo il licenziamento – mascherato da dimissioni – del predecessore Davutoglu: «Le operazioni continueranno fino a quando tutte le minacce ai cittadini turchi saranno eliminate. Gli Usa ci hanno più volte assicurato il ritiro delle Ypg all’est dell’Eufrate».
Il ritiro è in buona parte avvenuto, a salvaguardia dei civili, già caduti vittima delle violenze turche. Ma la Turchia e il suo braccio, l’Esercito Libero Siriano, avanzano sia verso Manbij (a sud est) che verso al-Bab (a sud-ovest).
Per Saleh Muslem, co-presidente del Pyd, il Partito di Unione Democratica che amministra Rojava e gestisce le Ypg, le ragioni dietro l’aggressione sono palesi e sostenute dalla nuova rete di alleanze di Ankara: «La strategia turca si basa sulla negazione dell’esistenza del popolo kurdo – ha detto in un’intervista all’agenzia AnfEnglish – Per questo funzionari turchi sono andati in Russia e in Iran e hanno personalmente incontrato Bashar al-Assad. Anche noi abbiamo incontrato i turchi, svariate volte: il popolo kurdo aspira ad un futuro di pace e democrazia. Non abbiamo sparato nemmeno una pallottola, non siamo un pericolo. Rojava è in Siria, non in Turchia: non hanno alcun diritto di interferire».
Ieri Ankara ha lanciato l’ultima sfida, convocando l’ambasciatore statunitense, John Bass: «Abbiamo sottolineato che tali annunci non sono accettabili e non si confanno alla relazione di amicizia [tra i due paesi]», ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri.
Di operazioni, smentite e altri screzi Obama discuterà direttamente con Erdogan domenica, quando si incontreranno in Cina ai margini del summit del G20. Il presidente turco parlerà di Siria anche con il russo Putin, l’unico a godere tra i due litiganti.
Washington è infastidita dalle mosse unilaterali turche perché rischiano di compromettere la strategica alleanza militare con le Forze Democratiche Siriane, il gruppo più efficace nella lotta all’Isis.
Il vice consigliere alla Sicurezza Nazionale Rhodes è chiaro: «Non sosteniamo il movimento di forze turche a sud di Jarabulus e l’attacco alle Sdf. Azioni contro le Sdf complicano gli sforzi di creare un fronte unito contro lo Stato Islamico».
Ieri, però, nonostante gli slogan di guerra amplificati dai ministri turchi, di scontri a terra non se ne sarebbero registrati: «La situazione è calma, entrambe le parti rispettano la tregua», dice il Consiglio Sdf di Jarabulus.
Al contrario, per la prima volta, l’Isis avrebbe attaccato l’Esercito Libero con i kamikaze: ci sarebbero delle vittime. L’Els se la prende con gli Stati Uniti: nonostante la richiesta di copertura aerea, riporta l’agenzia Anadolu, i jet Usa non si sarebbero fatti vedere.
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