Un sindacato unito e più forte per un nuovo contratto sociale europeo

Un sindacato unito e più forte per un nuovo contratto sociale europeo

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Intervista a Ignacio Fernández Toxo, presidente della Confederazione Europea dei Sindacati, a cura di Orsola Casagrande (dal Rapporto sui Diritti Globali 2013)

Il segretario generale delle Comisiones Obreras (CCOO) spagnole e presidente della Confederazione Europea dei Sindacati (CES), Ignacio Fernández Toxo, in quest’intervista afferma che, alla fine, la globalizzazione dei diritti, a cominciare dai diritti del lavoro sociali e sindacali, migliorerà sostanzialmente le condizioni di lavoro e di vita di centinaia di milioni di lavoratori nei Paesi emergenti e in via di sviluppo e creerà lavoro evitando la perdita dei diritti nei Paesi sviluppati. Ma, avvisa, non sarà un processo lineare e armonioso.

 

Redazione Diritti Globali: Quali sono i ritardi, i problemi e le prospettive del sindacato (non solo in Spagna ma anche a livello europeo e mondiale) dei percorsi politici, sociali e organizzativi intrapresi verso la globalizzazione dei diritti?

Ignacio Fernández Toxo: C’è un enorme divario tra il livello di internazionalizzazione delle relazioni economiche, in particolare quelle sviluppate dal capitale finanziario e delle multinazionali, e il grado di internazionalizzazione della politica e ancor di più delle relazioni sociali e dell’attività sindacale. Quando si vuole affrontare la fase europea della crisi globale – o la fase di crisi del debito sovrano, che viviamo dal 2010 – attraverso il rafforzamento delle competenze e delle strutture di governo economico dell’Unione Europea, lo si fa attraverso politiche – di austerità e riforme strutturali – economicamente sbagliate e socialmente ingiuste e tutto questo utilizzando metodi profondamente antidemocratici. Non è che la semplice imposizione dell’ideologia della politica economica tedesca più conservatrice. Con questo, inoltre, quando più sarebbe necessario costruire soluzioni europee, transnazionali e mondiali avanzate per uscire dalla crisi e dal modello del capitalismo finanziario che ci ha portato ad essa, i lavoratori e la cittadinanza europea sono sempre più distanti da quelle istituzioni della UE che sono causa di loro inutile e ingiusto dolore. Il problema è molto grave, perché quando il sindacalismo internazionale formula una strategia per globalizzare i diritti in vari campi – OIT, G20, FMI, Banca Mondiale, le multinazionali, ecc – il sindacalismo europeo, nonostante tutto il più forte al mondo, è impegnato in una durissima battaglia difensiva, che si sviluppa maggiormente nei singoli Stati che non a livello europeo al fine di evitare, o almeno limitare, la distruzione del modello sociale europeo, riferimento in materia di diritti per tutti i lavoratori del mondo. Non vedo alternative diverse se non più Europa e più sindacato europeo e azione sindacale europea transnazionale e mondiale. Tale processo, tuttavia, non è facile.

 

RDG: Quali sono le strategie necessarie a evitare che la crisi produca una “guerra tra poveri”, cioè tra lavoratori di Paesi differenti, oppure derive nazionaliste e protezioniste?

IFT: La globalizzazione dei diritti, a cominciare dai diritti del lavoro sociali e sindacali migliorerà sostanzialmente le condizioni di lavoro e di vita di centinaia di milioni di lavoratori nei Paesi emergenti e in via di sviluppo e creerà lavoro evitando la perdita dei diritti nei Paesi sviluppati, perdita che oggi è il risultato di pratiche di dumping sociale che quei Paesi esercitano.

Naturalmente non sarà un processo lineare e armonioso. Ci saranno contraddizioni e squilibri che interesseranno l’occupazione di questo o quel settore, di questo e quel tipo di Paese. I lavoratori dovranno sempre essere protetti nei cambi di lavoro. Ma alla fine vinceranno tutti se la democrazia politica ed economica, lo Stato di diritto e il ruolo dei sindacati in tutte le nazioni e le istituzioni transnazionali verranno riconosciuti.

La sfida è enorme, perché ci troviamo di fronte élite economiche e politiche che si limitano a difendere gli interessi economici delle minoranze che detengono la maggior parte della ricchezza nel mondo. Essi credevano che la crisi e le misure keynesiane che sono state prese per salvare le banche e per evitare che il capitalismo affondasse, tra il 2008 e il 2010, avrebbero messo in discussione il loro potere e i loro privilegi. Quando hanno visto che il sistema era stato salvato hanno reagito con i postulati neoliberali più radicali e meno solidali. È il dramma che viviamo in Europa.

L’altra componente del dramma che spiega anche l’enorme compito che hanno i sindacati e i movimenti sociali con i quali devono allearsi è il crollo ideologico e politico della socialdemocrazia europea. È una storia che viene da lontano, ma si è manifestata drammaticamente nel momento in cui le idee e le politiche economiche e sociali della destra sono state seriamente messe in dubbio dai cittadini che le hanno, a ragione, ritenute responsabili di aver prodotto la crisi.

Quando più era necessaria un’alternativa a sinistra e, in un certo senso, sarebbe stata più facile tale alternativa visto il discredito delle idee e delle politiche neoliberiste, la socialdemocrazia ha invece fallito miseramente.

Nei Paesi del Sud, i partiti socialdemocratici sono stati complici delle peggiori politiche di austerità e di tagli sociali. In Europa non sappiamo cosa dica il Partito Socialista Europeo. È vero che i partiti che lo compongono dicono cose diverse in ogni nazione e questo a seconda se siano all’opposizione o al governo.

In questa difficile situazione, il sindacalismo europeo deve lavorare tenacemente affinché le sue alternative per superare la crisi, che sono espresse nella proposta di un Nuovo Contratto Sociale Europeo (della CES, la Confederazione europea dei sindacati) e altri documenti, ottengano il sostegno sociale e politico sufficiente per battere il neoliberismo conservatore che può portare la UE alla sua distruzione. Dobbiamo passare dalla resistenza attuata separatamente nei propri ambiti nazionali a una azione basata su proposte e mobilitazioni di ambito europeo a partire da un più efficace coordinamento dell’azione sindacale europea. E si devono coltivare con pazienza e tenacia alleanze politiche e sociali sempre più necessarie.

 

RDG: Come descriverebbe, quasi un fermo immagine, la situazione attuale in Spagna, a partire dallo stato di salute del sindacato fino alle ripercussioni anche drammatiche della crisi, come per esempio la tragedia degli sgomberi dalle case?

IFT: In Spagna stiamo vivendo la peggiore crisi economica, sociale e politica della democrazia. I dati sono noti. Il nucleo principale della crisi è l’occupazione: abbiamo il record della disoccupazione nell’area OCSE: il 26% della popolazione attiva, il 54% dei giovani sotto i 25 anni. Sei milioni di persone, 1,8 milioni di famiglie con tutti i membri disoccupati. La povertà e la disuguaglianza sono saliti alle stelle. Nel tempo, i pesanti tagli di bilancio imposti dalle istituzioni politiche europee hanno gravemente eroso le politiche sociali e le prestazioni (escluso il sussidio di disoccupazione) e i servizi pubblici fondamentali come l’istruzione e la sanità.

La riforma del lavoro che ha imposto per decreto il nuovo governo del Partito Popolare, nel febbraio 2012, ha cercato solo frenare i licenziamenti e indebolire la contrattazione collettiva, in modo da consentire ai datori di lavoro di ridurre unilateralmente i salari e quindi realizzare la strategia del Patto per l’euro plus della Commissione e del Consiglio europeo. Questa strategia mira ad attenuare gli effetti dell’austerità di bilancio per ottenere una competitività basata solo su una deflazione consistente dei costi del lavoro. Ma l’unica cosa che si ottiene è esacerbare tali effetti, soprattutto se l’austerità è applicata contemporaneamente, anche se in misura variabile, in tutta l’Unione europea.

Alla crisi sociale e politica si è aggiunta quella politica, motivata dalla scoperta di numerosi e gravi casi di corruzione economica e politica che coinvolge i principali partiti e, in particolare, il partito di governo e la sua leadership nazionale. Vi è una generale diffidenza nei confronti dei politici e una pericolosa delegittimazione delle istituzioni democratiche. In misura maggiore o minore questa tendenza si sta verificando nella maggioranza dei Paesi europei. Più, naturalmente, in quei Paesi che come Grecia, Portogallo, Italia e Spagna, stanno soffrendo maggiormente per gli effetti della crisi e delle azioni di governanti incapaci, a volte disonesti.

Dato questo stato di cose, il movimento sindacale si è mobilitato con una intensità e continuità sconosciute nella Spagna democratica. Abbiamo convocato tre scioperi generali: nel settembre 2010, contro il primo piano di tagli del governo del PSOE; nel febbraio del 2012, contro la riforma del lavoro del governo del Partido Popular; il 14 novembre 2012, il giorno della grande giornata europea di mobilitazione convocata dal CES, contro il i successivi tagli del governo del PP e per la promozione di alternative per la crescita economica e l’occupazione. L’unità di azione tra CCOO e UGT ha funzionato bene e intorno a essa si sono raggruppati altri sindacati minori, il che è una novità, oltre a circa 150 organizzazioni e reti sociali raggruppate nel Vertice Sociale.

L’enorme e crescente malcontento sociale che esiste in Spagna, è stato incanalato dal movimento di “indignati”, la cui espressione più nota a livello internazionale è stata l’occupazione permanente della Puerta del Sol a Madrid e di altri spazi pubblici in molte città, nel 2011. Questo movimento ha contatti con i movimenti sociali alleati dei sindacati, anche se i gruppi più attivi all’interno dello stesso movimento rifiutano di stringere un’alleanza con il sindacalismo.

Il nostro sindacato sta attraversando un momento difficile e complesso nel quale, da una parte, stiamo soffrendo una perdita di iscritti (circa il 10% negli ultimi quattro anni. Siamo rimasti con 1.100.000 iscritti regolari), collegata all’enorme emorragia di posti di lavoro; dall’altra parte, manteniamo una grande capacità di mobilitazione e proponiamo alternative per superare la crisi e cambiare il modello di produzione preservando lo Stato sociale. In Spagna e in Europa (attraverso la CES). Oltre alle azioni sindacali in materia di contrattazione collettiva, la situazione ci obbliga a muoverci più che mai in campo socio-politico, dove soffriamo l’handicap della debolezza della sinistra, sia in Spagna che in Europa.

Dobbiamo perseverare, resistere mentre con le nostre proposte otteniamo sostegno sociale e cercare di ripristinare spazi di dialogo sociale oggi terribilmente deteriorati.

 

RDG: E rispetto agli sfratti?

IFT: Per quello che riguarda gli sfratti, il minimo che possiamo dire è che è una delle realtà più oltraggiose – politicamente, intellettualmente e moralmente parlando – della realtà spagnola. I responsabili della crisi che colpisce la maggior parte della popolazione sono stati i leader del settore finanziario – il complesso finanziario-immobiliare è stato il principale centro di potere della società spagnola negli ultimi decenni. Parte delle loro società sono state salvate con più di 50.000 milioni di euro di denaro pubblico. Tuttavia, coloro che perdono il lavoro e la casa, vengono lasciati nella miseria, in quanto la legislazione spagnola presuppone che il debito rimanga dopo aver sottratto il valore ammortizzato della casa che passa nelle mani della banca. Ma su questo terreno la mobilitazione sociale, che CCOO appoggia con forza, ha cominciato a dare i suoi frutti. Numerosi sono stati gli sgomberi bloccati, si sono costretti i due maggiori partiti ad accettare una iniziativa legislativa, il sostegno dell’opinione pubblica è totale e poi c’è stata questa sentenza molto importante della Corte di Giustizia Europea che si esprime contro la legge spagnola sugli sfratti e che, secondo le interpretazioni preliminari, permetterà ai giudici spagnoli di non applicare tale legge.

È la prima cosa buona che viene dalle istituzioni della UE negli ultimi anni e potrebbe servire, oltre che a risolvere il dramma di molte famiglie, anche per dimostrare che la mobilitazione sociale serve, porta i suoi frutti, in Spagna e in Europa.

 



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