Un mondo pieno di armi. Per responsabilità dei governi, non dei trafficanti

Un mondo pieno di armi. Per responsabilità dei governi, non dei trafficanti

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Intervista a Sergio Finardi a cura di Orsola Casagrande  (dal Rapporto sui Diritti Globali 2014)

Un’intervista a Sergio Finardi, in seguito scomparso nel dicembre 2015.

 La difficoltà nell’ottenere dati reali sui trasferimenti di armi nel mondo rende complesso avere un quadro attendibile di chi compra, chi vende, che armamenti si muovono. Per questo Sergio Finardi, esperto di logistica militare e di commercio di armamenti, argomenta che bisogna fare grande attenzione e cautela nel valutare e comprendere i dati che sono a disposizione. Distinguendo tra le statistiche, ovvero numeri reali, e quelli che invece sono dati di valutazione, come quelli dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) o del Centro di Ricerca del Congresso degli Stati Uniti. Pubblicare cifre senza spiegarle rischia di essere estremamente fuorviante e di raccontare i trasferimenti globali di armi soltanto in maniera parziale.

Nel valutare le transazioni, poi, bisognerebbe far riferimento a ogni tipo di arma e non soltanto ai sistemi di arma maggiori. Perché se si mettono assieme anche tutte le armi cosiddette civili, che non sono solo le armi da caccia, si ottengono molti miliardi di dollari in più al totale del commercio di armamenti mondiale, che si aggira sui 100-120 miliardi di dollari l’anno.

 

Redazione Diritti Globali: Partiamo da una fotografia del 2013. Cosa è cambiato per quello che riguarda il mercato delle armi: chi compra di più? Chi vende? A chi?

Sergio Finardi: Per quanto riguarda la fotografia relativa ai trasferimenti di armi bisogna fare una chiarificazione su quello di cui si sta parlando. Mi spiego. Sono circolati molti dati, sia in Italia che all’estero, in relazione soprattutto a quello che annualmente il SIPRI pubblica sui trend dei trasferimenti. Si tratta di dati che necessitano di grande cautela nel valutarli e comprenderli. Una cautela che purtroppo non è in generale appannaggio dei giornalisti che ne parlano. Quello che si è detto nei quotidiani italiani e esteri, va spiegato. I dati che forniamo noi, a TransArms, non sono in accordo con quelli del SIPRI ma per la semplice ragione che parliamo di due cose diverse. Noi parliamo di trasferimenti di tutte le armi, mentre il SIPRI, come il Rapporto annuale del CRS (Centro di Ricerca del Congresso degli USA) sui trasferimenti di armi verso i Paesi in via di sviluppo), si occupano dei trasferimenti di sistemi di arma maggiori.

Le cifre riprese da questi due Rapporti sono molto fuorvianti, se ci si limita a pubblicare le cifre senza spiegarle, perché appunto si occupano solo dei trasferimenti di sistemi di arma maggiori e non rendono conto di tutti i trasferimenti di armi. In quest’ultimo caso, nelle classifiche degli esportatori vi sono Paesi che non compaiono in quelle del SIPRI o del CRS anche se, per esempio, esportano un gran numero di armi di fanteria o cosiddette leggere. Facciamo un esempio concreto: l’Italia nelle classifiche del SIPRI è molto in basso, ma se prendiamo in considerazione l’esportazione di tutte le armi figura al settimo o ottavo posto.

Quindi se i dati del SIPRI vengono usati responsabilmente, ovvero dicendo che cosa effettivamente vogliono dire, quali metodologie vengono usate per stabilire questi trend, hanno significato, altrimenti rischiano di indurre in errore.

Aggiungo che bisogna sempre tener presente che i dati SIPRI non sono dati statistici ma dati di valutazione, assegnano cioè dei valori alle transazioni di certi sistemi di arma e dicono che quello è il valore del trasferimento. Ma il valore di una transazione non è il suo prezzo di mercato, che è l’elemento base usato dal SIPRI, ma è il prezzo di vendita che hanno concordato compratore e venditore.

Faccio tutta questa premessa perché per esempio si è parlato molto del dato SIPRI che registra un aumento mostruoso nelle esportazioni di armi della Cina in questo quinquennio (2009-2013) rispetto al precedente. Ma la realtà non è questa. Siamo passati da un’assenza di dati alla presenza di alcuni dati: mentre prima le esportazioni cinesi venivano valutate attraverso dati forniti dal Dipartimento di Stato americano, perché statistiche cinesi non ce n’erano, oggi abbiamo dei dati reali, forniti dalla Cina.

 

RDG: In base ai vostri dati, dunque, che trend si possono identificare?

SF: Quello che a me interessa è parlare di numeri reali e di prezzi reali pagati per le armi. Abbiamo statistiche nazionali, abbiamo statistiche dell’Unione Europea su dati nazionali, statistiche di alcuni istituti internazionali. Possiamo lavorare su statistiche, e non valutazioni, relative al 2012 che è l’ultimo anno su cui abbiamo dati reali. Sul 2013 infatti non ne abbiamo ancora.

Per quanto riguarda il trend, a livello di transazioni registrate da governi e dogane, quindi statistiche reali, vediamo che in realtà quello che viene considerato come l’elemento di spicco degli ultimi anni, ovverosia l’evoluzione delle esportazioni cinesi, si rivela molto problematico come dato.

Quello che si vede analizzando le statistiche reali, è un’enorme crescita delle esportazioni di armi degli Stati Uniti.

 

RDG: C’è un’altra distinzione che sottolinei sempre, quella tra autorizzazioni ed esportazioni reali. Di cosa si tratta?

SF: Si parla molto spesso di autorizzazioni come se fossero le esportazioni. Per esempio si dice che in Italia le esportazioni di armi hanno raggiunto nel 2012, i 4 miliardi di euro ma in realtà questa cifra rappresenta le autorizzazioni concesse in quell’anno. Le autorizzazioni possono essere utilizzare nei successivi quattro anni. In altre parole queste sono le licenze concesse, che possono essere usate tutte in un anno e quindi rappresenteranno il valore delle esportazioni effettive, oppure in quattro anni.

Se andiamo a vedere i dati, nel 2012 l’Italia effettivamente esporta due miliardi e 980 milioni di euro. Quelle sono vere esportazioni. Il dato sulle autorizzazioni, naturalmente, ci serve a capire il potenziale di esportazione dell’Italia. Il fatto che ci siano state domande di acquisto per quattro miliardi significa che nei quattro anni a disposizione verosimilmente l’Italia le trasformerà in esportazioni reali.

Il dato su cui ragioniamo sempre noi a TransArms è quello delle effettive consegne. E analizzando questo dato, vediamo che nel 2012 c’è stato un considerevole aumento delle esportazioni statunitensi.

Nel 2012 le autorizzazioni sono triplicate rispetto al 2011. Cioè il Dipartimento della Difesa ha autorizzato nel 2012 licenze per 63 miliardi di dollari. Nel 2011 aveva autorizzato 26 miliardi di dollari. Questo vuol dire verosimilmente che nei prossimi anni le esportazioni effettive USA aumenteranno notevolmente. Va detto poi che queste sono le cosiddette Foreign military sales, cioè le esportazioni autorizzate dal ministero della Difesa sulla base di trattative governo-governo.

Poi ci sono le vendite che riguardano le Direct commercial sales autorizzate dal Dipartimento di Stato e sono transazioni tra produttori di armi statunitensi e clienti esteri, governi, agenzie, privati. Per queste ultime nel 2012 abbiamo assistito a una crescita notevole, sia delle esportazioni effettive che delle autorizzazioni che viaggiano a livello di 40-50 miliardi di dollari. Quindi in totale gli USA hanno autorizzazioni per oltre 100 miliardi di dollari.

 

RDG: Gli Stati Uniti non solo gli unici ad aver aumentato le autorizzazioni.

SF: No. Anche i dati relativi alla Russia, che riguardano ciò che è stato ordinato alle aziende russe, registrano un aumento di domande. Si passa dai 10-12 miliardi di dollari nel 2010-2011 a circa 15 miliardi nel 2012. Dunque, trend in aumento anche per la Russia, che ha quasi triplicato le sue esportazioni effettive.

Ci sono poi molti altri Paesi da tenere sotto osservazione: Francia, Regno Unito e Germania che hanno occupato sempre posizioni di estremo rilievo nel commercio internazionale e le cui esportazioni non hanno visto balzi in avanti. Sono cresciute poco o sono rimaste stagnanti come nel caso della Germania.

C’è poi il dato della Cina che rimane un semi-mistero, perché oggi come oggi non è possibile tracciare un quadro certo.

E poi ci sono i dati relativi a Paesi come Israele, Svezia, Italia, Ucraina, Sud Africa che stanno crescendo abbastanza nel panorama internazionale. In particolare Sud Africa, Israele e Ucraina. Anche qui i dati sono abbastanza problematici. Per l’Ucraina non abbiamo dati statistici, ma solo comunicazioni del governo relative alle esportazioni, non sufficienti a tracciare un quadro affidabile.

Per quanto riguarda il Sud Africa le statistiche ci sono, ma magari per un anno e poi saltano l’anno successivo. Negli ultimi anni abbiamo visto che è il Paese arrivato a esportare armi per più di un miliardo di dollari.

È un dato preoccupante perché il Sud Africa potrebbe diventare il maggior esportatore (in parte lo era) di armi in Africa. Purtroppo, però, ci sarà sempre più un problema di informazione reale, vista la non grande trasparenza del governo guidato dall’ANC e di molti dei suoi clienti. C’è molta politica dentro le statistiche che arrivano o non arrivano. Insomma, siamo in presenza di una affidabilità problematica.

 

RDG: La distinzione ulteriore che fai riguarda le armi, da guerra o civili. Perché è importante?

SF: In questo caso stiamo parlando di armi e munizioni da guerra, perché i documenti dei Paesi produttori che hanno leggi che li obbligano a fare rapporti annuali sull’esportazione di armi sono relativi ad armi da guerra. Qualche Paese fa statistiche anche su beni a doppio uso, civile e militare, per esempio componenti, sistemi di sorveglianza, radio, veicoli. Ma spesso questi beni non vengono denunciati come beni militari.

Sottolineo questo perché quando parliamo di armi e munizioni da guerra non esauriamo il dato relativo al trasferimento di armi da un Paese a un altro. Come ben dimostra l’Italia, ci sono molti Paesi che esportano un gran numero di armi cosiddette civili che non vengono considerate nelle relazioni annuali dei Paesi sull’esportazione di armi.

La distinzione tra armi civili e armi militari è molto facile per tutta una serie di cose: pensiamo ad esempio a un carro armato. Nessuno può equivocarne l’uso evidentemente militare. Ma per quanto riguarda le armi di fanteria e leggere, distinguere cos’è militare e cosa non lo è non è così facile. E, anche quando si può distinguere, non è detto che poi quelle armi non vengano trasformate in armi militari con dei cambiamenti relativi al fuoco automatico.

La distinzione tra armi militari e non militari, in generale, è una distinzione relativa alla potenza e velocità di sparo e il tipo di tiro (non automatico o semi-automatico o automatico). Se il tiro è automatico (e in alcuni casi semi-automatico) si tratta in genere di un’arma militare, se non lo è si tratta di un’arma civile.

Le armi civili non passano, nel caso dell’Italia, al vaglio della legge 185/90 che regola le esportazioni militari, ma passano solo al vaglio dei prefetti in base alla legge su armi civili del 1975 (e aggiornamenti). Saranno dunque i prefetti a valutare se quelle armi sono o non sono da considerare civili.

Detto questo, va da sé che se mettiamo insieme anche tutte le armi cosiddette civili, che non sono solo le armi da caccia, otteniamo molti miliardi di dollari in più al totale del commercio di armamenti mondiale, che si aggira sui 100-120 miliardi di dollari l’anno. E a queste dovremmo aggiungere anche le armi che non entrano in nessuna statistica, per esempio quelle che vengono regalate. Perché alcuni Paesi le denunciano, per esempio la Francia, ma altri no. E ci sono tonnellate di armi che passano di mano tutti gli anni, come regali o a prezzo di realizzo.

Facciamo un esempio. A prezzi di realizzo o come regali per “assistenza militare” a un alleato, il trasferimento di 100 mila fucili mitragliatori potrebbe anche non essere registrato nelle statistiche (per esempio perché il valore complessivo della transazione è inferiore alla soglia dei valori presi in considerazione, da un milione in su in certi casi). Ma questi 100 mila fucili mitragliatori armano un esercito. Se poi vengono regalate anche le munizioni, il gioco è fatto. Queste transazioni non vengono quasi mai rilevate.

Per concludere io ritengo che quando si parla del valore del commercio internazionale di armamenti, bisogna usare le statistiche e tenere presente che i dati che abbiamo sono estremamente parziali. Le cifre globali relative a valore e quantità delle armi prodotte ed esportate noi non li conosciamo. Il problema è molto più grande di quello che attualmente vediamo. E non è una valutazione fatta sulla base di un percepito pericolo. È una valutazione basata sull’osservazione.

 

RDG: In che senso?

SF: Nel senso che quando poi assistiamo all’esplosione di conflitti civili o guerre e vediamo che alcune di questi vanno avanti per anni, è evidente che ciò dipende non solo dalla capacità delle parti in guerra di procurarsi armi anche illegalmente, ma anche dal fatto che il numero di armi presenti in quei territori è molto più alto di quello che si pensa.

Bisognerebbe fare una mappa – che non c’è e che nessun governo vuole finanziare – su quante armi sono presenti in una regione o Paese. Quel Paese quante armi ha prodotto, importato e esportato? Questo ci darebbe una reale fotografia della presenza di armi nel mondo.

I governi preferiscono finanziare le ricerche sulle transazioni illegali che sono lo 0,5% di quello che circola nel mondo. E questo naturalmente gli fa gioco, perché trasferisce la responsabilità sui trafficanti quando invece la responsabilità chiara è dei governi che hanno messo in circolazione miliardi di tonnellate di armi.



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